San Nicola e la leggenda di Babbo Natale
A sinistra San Nicola porta i regali di Natale in una cartolina tedesca del 1939. A sinistra un'immaginetta del santo con i tre bambini salvati dall'essere divorati e le palle d’oro simbolo della dote che donò a tre poverelle.
Il mito di Babbo Natale nasce dalla leggenda di san Nicola, vissuto nel IV secolo, che si festeggia tradizionalmente il 6 dicembre: secondo la tradizione, san Nicola regalò una dote a tre fanciulle povere perché potessero andare spose invece di prostituirsi e - in un'altra occasione - salvò tre fanciulli.
Nel Medioevo si diffuse in Europa l’uso di commemorare questo episodio con lo scambio di doni nel giorno del santo (6 dicembre). L'usanza è ancora in auge nei Paesi Bassi, in Germania, in Austria e in Italia (nei porti dell’Adriatico, a Trieste e nell’Alto Adige): la notte del 5 dicembre in groppa al suo cavallino fa concorrenza a Babbo Natale. I bambini cattivi se la devono vedere con il suo peloso e demoniaco servitore, mentre il pio uomo lascia doni, dolciumi e frutta nelle scarpe dei più meritevoli.
TRADIZIONI NATALIZIE.
Nei Paesi protestanti san Nicola perse l’aspetto del vescovo cattolico ma mantenne il ruolo benefico col nome di Samiklaus, Sinterclaus o Santa Claus. I festeggiamenti si spostarono alla festa vicina più importante, Natale.
L’omone con la barba bianca e il sacco pieno di regali, invece, nacque in America dalla penna di Clement C. Moore, che nel 1822 scrisse una poesia in cui lo descriveva come ormai tutti lo conosciamo. Questo nuovo Santa Claus ebbe successo, e dagli anni Cinquanta conquistò anche l’Europa diventando, in Italia, Babbo Natale.
CHI ERA SAN NICOLA?
A differenza di Babbo Natale, però, San Nicola è realmente esistito. Nacque a Patara nel 270 e fu vescovo di Myra, in Licia (odierna Turchia). È una figura avvolta nel mistero, ma indizi archeologici dicono che è vissuto realmente: il suo nome compare in alcune delle antiche liste dei partecipanti al primo Concilio di Nicea (325), una riunione di tutti i vescovi della Chiesa cristiana per tentare di chiarire le divergenze teologiche sulla natura di Cristo.
In mancanza di notizie storiche certe, i biografi ricostruirono comunque la vita di Nicola condendola con dettagli spesso scopiazzati da altre vite di santi. Figlio unico di ricchi genitori, pare che fin da piccolo avesse manifestato i segni della sua santità: il mercoledì e il venerdì, infatti, poppava una sola volta al giorno, per rispettare l’astinenza prescritta dalla Chiesa cristiana. Non gli toccò una morte spettacolare, da martire: pare che si spense in pochi giorni, di vecchiaia, tra il 345 e il 352. E come aveva fatto in vita, anche da morto prese le difese della sua comunità, regalando ai fedeli un olio profumato dai poteri miracolosi che sgorgava dalle sue reliquie, conservate nella cattedrale di Myra fino all’XI secolo (e portate via dai baresi nel 1087).
Fin qui, però, la sua fama rimaneva legata solo alla Licia. La svolta si ebbe tra il VII e l’VIII secolo, quando, di fronte alle coste dove sorgeva il santuario, Bizantini e Arabi combatterono per la supremazia sul mare. Arrivò così il salto di status: Nicola diventò il punto di riferimento dei marinai bizantini e il loro protettore, trasformandosi da santo locale a santo internazionale. Il suo culto si espanse lungo le rotte marittime del Mediterraneo, arrivando a Roma e a Gerusalemme, poi a Costantinopoli, in Russia e nel resto dell’Occidente. Nel IX secolo si diffuse in Germania.
SALVATORE DI BIMBI.
Parallelamente si sviluppò una sua biografia definitiva, “arricchita” di nuovi episodi. Uno dei più famosi è la storia delle tre fanciulle, particolarmente diffusa nell’XI-XII secolo: commosso dalla sorte di tre ragazze povere che il padre meditava di far prostituire, per tre notti Nicola gettò loro attraverso la finestra aperta altrettanti sacchi d’oro (poi simboleggiati nell’iconografia con palle d’oro) come dote per farle sposare. Questa storia diede a Nicola la fama di generoso portatore di doni, oltre che patrono delle vergini e garante della fertilità.
E I BAMBINI?
Il suo rapporto speciale con loro nasce da una truce storia medioevale degna delle fiabe dei fratelli Grimm: una notte tre ragazzi chiedono ospitalità in una locanda; l’oste e sua moglie li accolgono volentieri perché hanno finito la carne in dispensa, poi li fanno a pezzi con l’accetta e li mettono in salamoia. Finito il massacro, san Nicola bussa alla porta e chiede un piatto di carne. Al rifiuto dell’oste si fa portare in dispensa, dove estrae dalla salamoia i tre giovani, vivi e vegeti. Il racconto circolava prevalentemente nelle scuole ecclesiastiche, dove, il 28 dicembre, si celebrava la Festa degli innocenti. In occasione di questa versione cristianizzata dei Saturnali, la scalmanata festa pagana dell’antica Roma, gli studenti eleggevano il “vescovello”, una specie di dio Saturno romano che presiedeva ai festeggiamenti ed elargiva doni.
Dalla fine del XIII secolo, il 6 dicembre diventò il giorno in cui i “vescovi Nicola” salivano sui loro scranni: la tradizione raggiunse il culmine nel XVI secolo (ma in alcuni luoghi persistette fino al XIX). E anche quando la Chiesa, scandalizzata, iniziò a vietare queste carnevalate pagane, Nicola sopravvisse nelle scuole e nelle case grazie ai bambini, che continuarono a festeggiarlo e a ricevere i suoi regali.
DEVOZIONE ITALIANA.
La storia e la devozione per san Nicola è molto diffusa anche in due città italiane: Bari e Venezia. Dopo la caduta di Myra in mano musulmana, nel 1087 i baresi fecero una spedizione in quella città. Le reliquie, cioè le ossa, del santo, erano parte del bottino.
Circa 10 anni dopo anche i veneziani puntarono su Myra e recuperarono altre ossa, lasciate dai baresi nella fretta. I veneziani trasportarono quei resti nell’Abbazia di San Nicolò del Lido, vantando pure loro il possesso delle spoglie del santo. Lo dichiararono protettore della flotta della Serenissima. E gli dedicarono molte opere, come il duomo nel “Giardino della Serenissima” (la città di Sacile, in Friuli, di cui è patrono).
fonte:
https://www.focus.it/cultura/storia/come-nata-la-leggenda-di-babbo-natale?fbclid=IwAR24DuKqsQ3yT_BqsGtnQUDxJYcdBjWhdeOXKlYOBQweTIPtDqnF_MmD5Es
Il Natale è una festività dalle origini e dalle tradizioni molto complesse. Il motivo riconosciuto per cui il 25 Dicembre si festeggia è quello della nascita di Gesù, imposto dal Cristianesimo. Anche moltissimi non credenti,comunque, riconoscono questa festa come momento per stare insieme, staccare dal lavoro, addobbare le case di luci e colori e scambiarsi doni.
Le tradizioni e i simboli legati al Natale, come l’usanza di addobbare un abete,quella di preparare piatti ricchi la sera del 24 Dicembre, di far credere ai bambini che esista un vecchio signore vestito di rosso che porta regali scendendo dalla cappa del camino, sono stati aggiunti alla celebrazione del 25 Dicembre da diverse culture e sono stati tramandati nei secoli rendendo il Natale la festa più complessa dell’anno, al limite tra il Sacro e il profano.
Qual è, però, il vero motivo per cui proprio il 25 Dicembre si festeggia il Natale, dato che nessuno ha stabilito il giorno esatto in cui nacque Gesù?
La risposta va cercata in un periodo molto lontano, addirittura prima dell’anno zero.I responsabili del nostro Natale “dicembrino” sono i celtici, popolo vissuto nelle Isole britanniche nel I secolo a. C.
E’ difficile da far conciliare una festa cristiana con i riti magici dei Druidi, ma in realtà erano proprio loro che a fine Dicembre festeggiavano accendendo fuochi, adornando di un albero e recitando canti e preghiere.
La loro festa era in onore del dio Sole, e cadeva il giorno del Solstizio di Inverno, il 21 di Dicembre: è proprio in quella giornata che le ore notturne sono molto di più di quelle diurne, ma dopo quella notte il giorno inizia lentamente ad “allungare”. I Celti festeggiavano affinché il dio Sole, quella notte, tornasse e fecondasse di nuovo la dea Madre Terra per far nascere il dio Sole Bambino. Per incitare il ritorno della luce si accendevano falò e si addobbava un albero, simbolo di vita, con dei frutti (non vi ricorda la nostra usanza di addobbare l’albero di Natale?). Altro simbolo celtico di fertilità, usato per festeggiare il dio Sole, era un arbusto che usiamo tutt’oggi per addobbare le case a Natale: il vischio.
Ora arriviamo al motivo per cui è stato scelto di festeggiare la nascita di Gesù approssimativamente negli stessi giorni della festa dedicata alla Luce: è stata la Chiesa a voler “coprire” la tradizione profana di festeggiare il dio Sole, decretando come giorno del Natale Cristiano una giornata di fine Dicembre.
Strano, ma bello da credere, ma da più di 3000 anni per il mondo gli ultimi giorni dell’anno, seppur per motivi diversi, sono stati dedicati al bellissimo tema della rinascita e ai festeggiamenti.
fonte:
http://www.nataleblog.it/le-origini-del-natale-nel-mondo-celtico/
L’Albero di Natale: tra mitologia e antropologia
Ci dice Jung riguardo l’albero di Natale:
"L’albero di Natale è una di quelle antiche usanze che nutrono l’anima, che nutrono l’uomo interiore."
L’albero decorato e illuminato, si ritrova anche indipendentemente dalla natività di Cristo e anzi in contesti non cristiani.
Per esempio nell’alchimia, quell’inesauribile riserva dei simboli dell’antichità […] il significato dei globi lucenti che appendiamo all’albero di Natale: non sono altro che i corpi celesti, il sole, la luna, le stelle; l’albero di Natale è l’albero cosmico.
Ma, come mostra chiaramente il simbolismo alchemico, è anche un simbolo della trasformazione, un simbolo del processo di auto-realizzazione.
Secondo talune fonti alchemiche, l’adepto si arrampica sull’albero: un motivo sciamanico antichissimo. Lo sciamano, in stato estatico, sale sull’albero magico per raggiungere il mondo superiore, dove troverà il suo vero essere. Arrampicandosi sull’albero magico, che è al tempo stesso l’albero della conoscenza, egli si impossessa della propria personalità spirituale.
Allo sguardo dello psicologo, il simbolismo sciamanico e alchemico è la rappresentazione in forma proiettiva del processo di individuazione. Come questo poggi su base archetipica è dimostrato dal fatto che i pazienti del tutto privi di nozioni di mitologia e di folklore producono spontaneamente immagini incredibilmente simili al simbolismo dell’albero storicamente attestato.
L’esperienza mi ha insegnato che gli autori di quelle rappresentazioni cercavano in tal modo di esprimere un processo di evoluzione interiore indipendente dalla loro volontà cosciente.»
(Tratto da Jung Parla. Interviste e incontri
Alla base dell’albero natalizio ci sono gli antichissimi usi, tipici di varie culture, di decorare i vari Alberi del Paradiso con nastri e oggetti colorati, fiaccole, piccole campane, animaletti votivi, e la credenza che le luci, che li illuminavano, corrispondessero ad altrettante anime.
Allo stesso modo venivano ornati anche i vari Alberi cosmici con simboli del Sole, della Luna, dei Pianeti e delle stelle. In particolare l’abete era sacro a Odino, potente dio dei Germani.
L’abitudine di decorare alcuni alberi sempreverdi era diffusa già tra i Celti durante le celebrazioni relative al solstizio d’inverno.
I Vichinghi dell’estremo Nord dell’Europa, per esempio, dove il sole “spariva” per settimane nel pieno dell’inverno, nella settimana precedente e successiva al giorno con la notte più lunga, si officiavano le solennità per auspicare il ritorno del sole e credevano che l’abete rosso fosse in grado di esprimere poteri magici, poiché non perdeva le foglie nemmeno nei geli dell’inverno: alberi di abete venivano tagliati e portati a casa, decorati con frutti, ricordando la fertilità che la primavera avrebbe ridato agli alberi.
I Romani usavano decorare le loro case con rami di pino durante le Calende di gennaio.
L’albero come simbolo del Cristo
Con l’avvento del Cristianesimo l’uso dell’albero di Natale si affermò anche nelle tradizioni cristiane, anche se la Chiesa delle origini ne vietò l’uso sostituendolo con l’agrifoglio, per simboleggiare con le spine la corona di Cristo e con le bacche le gocce di sangue che escono dal capo.
Nel Medioevo i culti pagani vennero generalmente intesi come una prefigurazione della rivelazione cristiana. Oltre a significare la potenza offerta alla natura da Dio, l’albero divenne quindi simbolo di Cristo, inteso come linfa vitale, e della Chiesa, rappresentata come un giardino voluto da Dio sulla terra.
Nella Bibbia il simbolo dell’albero è peraltro presente più volte e con più significati, a cominciare dall’Albero della vita posto al centro del paradiso terrestre (Genesi, 2.9) per arrivare all’albero della Croce, passando per l’Albero di Jesse.
L’albero natalizio ha una valenza cosmica che lo collega alla rinascita della vita dopo l’inverno e al ritorno della fertilità della natura.
L’albero cosmico o albero della vita è stato anche associato alla figura salvifica di Cristo e alla croce della Redenzione, fatta appunto di legno.
L’abete, sin dall’epoca egizia è stato posto in relazione con la nascita del dio di Biblo, dai Greci fu consacrato ad Artemide, protettrice delle nascite e sempre dai Greci era ritenuto simbolo della rinascita rappresentata dal nuovo anno.
Sarà poi venerato dai popoli dell’Asia settentrionale e, in particolare, dai Celti e dai Germani che lo associavano alla nascita del fanciullo divino e a sua volta alla festività del solstizio invernale.
Per il Cristianesimo l’abete diventò simbolo di Cristo e della sua immortalità.
Inoltre si noti la similitudine dell’albero con il pilastro cosmico chiamato Yggdrasill dalla mitologia nordica, fonte della vita, delle acque eterne, cui è vincolato il destino degli uomini: similitudini queste sincreticamente assorbite nel culto cristiano che celebra l’albero di Natale e la Croce stessa.
Curiosità: IL PUNTALE
In genere esso è utilizzato a forma di stella, che sta come rimando alla Stella Cometa che i Re Magi seguirono per raggiungere la grotta della Natività.
I primi alberi di Natale
L’uso moderno dell’albero nasce secondo alcuni a Tallinn, in Estonia nel 1441, quando fu eretto un grande abete nella piazza del Municipio, Raekoja Plats, attorno al quale giovani scapoli, uomini e donne, ballavano insieme alla ricerca dell’anima gemella. Tradizione poi ripresa dalla Germania del XVI secolo.
Ingeborg Weber-Kellermann (professoressa di etnologia a Marburgo) ha identificato, fra i primi riferimenti storici alla tradizione, una cronaca di Brema del 1570, secondo cui un albero veniva decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta. La città di Riga è fra quelle che si proclamano sedi del primo albero di Natale della storia (vi si trova una targa scritta in otto lingue, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510).Moderno albero di Natale nella città di Riga
Precedentemente a questa prima apparizione “ufficiale” dell’albero di Natale si può però trovare anche un gioco religioso medioevale celebrato proprio in Germania il 24 dicembre, il “gioco di Adamo e di Eva” (Adam und Eva Spiele), in cui venivano riempite le piazze e le chiese di alberi di frutta e simboli dell’abbondanza per ricreare l’immagine del Paradiso.
Successivamente gli alberi da frutto vennero sostituiti da abeti poiché questi ultimi avevano una profonda valenza “magica” per il popolo. Avevano specialmente il dono di essere sempreverdi, dono che secondo la tradizione gli venne dato proprio dallo stesso Gesùcome ringraziamento per averlo protetto mentre era inseguito da nemici.
Secondo altre fonti l’albero di natale come è conosciuto oggi sarebbe originario della regione di Basilea in Svizzera dove se ne trovano tracce risalenti al XIII secolo.
fonte:
https://www.jungitalia.it/2017/12/24/mitologia-albero-di-natale-e-santa-claus-simboli/
Esiste un vero e proprio regolamento per entrare a fare parte di questo gruppo: farne parte è un privilegio; a Vipiteno, per esempio, può diventare Krampus solo chi è vipitenese di nascita.
FOLLETTI DEL NATALE
Il Natale era animato da creature fatate. I tedeschi si tramandavano i racconti di uno di questi elfi, di nome frau Gaude. A Natale scendeva nei villaggi, e se trovava una porta aperta mandava dentro casa uno dei suoi cani che si rannicchiava davanti al focolare e iniziava a lamentarsi piangendo sommessamente… nessuno riusciva più a scacciarlo. Anche se di giorno sembrava scomparire, di notte si svegliava di nuovo e ricominciava a guaire, portando malattie e disgrazie alla famiglia. Se ne andava solo il Natale successivo.
Altre creature maligne erano i Ragazzi del Natale dell’Islanda, che scendevano nelle case degli islandesi uno alla volta, iniziando tredici giorni prima di Natale, rubavano candele e salcicce, portavano via il grano e sporcavano le stanze riassettate per il Natale. A partire dal Giorno di Natale, cominciavano ad andarsene, uno alla volta, portando con se i bambini della casa (secondo la leggenda solo i bambini cattivi).
Altri folletti maligni del Natale sono i Kallikantzaroi
Nelle dodici notti tra Natale e l’Epifania i KalliKantzaroi possono abbandonare le loro dimore sotterranee per salire tra la Gente Alta e molestarla con i loro scherzi. In varie parti della Grecia e di Cipro si dice che questi folletti maligni girino con stivali di ferro, per far più male alle persone a cui tirano calci. Altrove si dice che rovinino il vino e le provviste nelle cantine destinate alle feste di Natale e dell’Anno Nuovo. Da qualche parte si dice anche che rapiscano le persone che si attardano per strada, di ritorno dalle feste.
Nonostante sia fastidioso averli in giro, per noi umani è un bene che i Kallikantzaroi si prendano questa vacanza dalla loro attività sotterranea preferita: rosicchiare le radici dell’albero del mondo. Se i Kallikantzaroi potessero continuare fino all’Epifania a rosicchiare le radici, l’albero crollerebbe e il mondo sovrastante con lui. Le dodici notti sono indispensabili all’albero per rigenerarsi.
Se qualcosa vi va a male nella dispensa, se il vostro albero di Natale crolla a terra senza un motivo apparente, se qualcuno vi tira un calcio alle spalle e poi scappa a nascondersi nelle ombre, fate attenzione, un Kallikantzaroi potrebbe avervi preso di mira!
I Krampus: i diavoli del Natale tra storie e leggende
Nelle zone Alpine di cultura tedesca, quindi l’Alto Adige, l’Austria, la Baviera, ma anche in alcune zone del Friuli Venezia Giulia, accanto alla figura di “Nikolaus“, il nostro Babbo Natale, si accosta una bizzarra figura: il Krampus.
Questa figura dà l’avvio al periodo dell’Avvento e generalmente fa la sua comparsa la sera del 5 dicembre, il giorno prima della festa di San Nicola, accompagnandolo di casa in casa per portare i doni ai bambini.
MA COSA SONO I KRAMPUS?
Il Krampus, detto anche Diavolo di Natale, ha il compito di “punire i bambini cattivi“, ed è quindi da considerarsi come l’antitesi di Babbo Natale.
L’origine di questa figura si perde nelle nebbie del tempo, ma gli esperti tendono comunque ad associarla ai tanti riti pagani (più probabilmente celtici) dell’eterna lotta tra il bene e il male (San Nicolò e i Krampus, appunto) che sono stati adattati alla cristianità. Un’altra ipotesi è che sia una tradizione legata al Solstizio invernale.
Il nome Krampus deriva probabilmente dal bavarese “Krampn” (morto, putrefatto, passato), o dal tedesco Kramp (artiglio) anche se in Alto Adige e in Germania è conosciuto anche come Teufel (Diavolo).
TRA STORIA E LEGGENDA
Durante il periodo dell’Inquisizione il rito dei Krampus era stato proibito proprio per questa sua vicinanza all’oscurità e alla sua natura diabolica, tuttavia è sopravvissuto in alcune vallate molto remote.
La leggenda racconta che tanto tempo fa, nei periodi di carestia, i giovani dei paesini di montagna si travestivano usando pellicce formate da piume e pelli e corna di animali.
Essendo irriconoscibili andavano in giro a terrorizzare gli abitanti dei villaggi vicini, derubandoli delle scorte per l’inverno.Dopo un po’ di tempo i giovani si accorsero però che tra loro vi era un impostore: era il diavolo in persona che, approfittando del suo reale volto diabolico, si era inserito nel gruppo rimanendo riconoscibile solo grazie alle zampe a forma di zoccolo di capra.
Venne quindi chiamato il vescovo Nicolò per esorcizzare l’inquietante presenza.Sconfitto il diavolo, tutti gli anni i giovani, travestiti da demoni, sfilavano lungo le strade dei paesi. Non più a depredare ma a portare doni o a “picchiare i bambini cattivi”, accompagnati dalla figura del vescovo che aveva sconfitto il male.
Le prime notizie sull’inizio della tradizione della visita nelle case e nelle fattorie di San Nicolò per augurare bene e proteggere i bambini risalgono al XVII secolo. Il Santo in questi giri era accompagnato dai diavoli che incutevano paura ai bambini “cattivi”.
Dalla metà del XIX secolo si hanno notizie del ritorno ufficiale dei cortei e delle corse dei “Krampus”.
CHI SONO I KRAMPUS? E COME SI FA A DIVENTARLO?
I Krampus sono uomini-caproni scatenati e inquietanti che si aggirano per le strade alla ricerca dei bambini cattivi. Il viso è coperto da maschere diaboliche e paurose generalmente fatte in legno o in cartapesta, indossano abiti laceri e consunti.
Girando per le vie del paese i Krampus fanno rumori e schiamazzi, utilizzando campanacci o corni, o semplicemente urlando a squarciagola.
A travestirsi sono solo gli uomini, anche se il Diavolo può essere anche femminile: la Krampa, in questo caso sono sempre uomini con abiti da donna.
Esiste un vero e proprio regolamento per entrare a fare parte di questo gruppo: farne parte è un privilegio; a Vipiteno, per esempio, può diventare Krampus solo chi è vipitenese di nascita.
E’ una regola imprescindibile anche che chi entra all’interno del gruppo sia scapolo (chiunque si sposi smette di farne parte). Esiste inoltre un ordine gerarchico legato all’età, sono infatti i più giovani a preparare i vari carri per il corteo.
Altra regola fondamentale per tutti coloro che indossano i panni dei Krampus è che la maschera non deve mai essere tolta in pubblico, ne va dell’onore di chi è stato smascherato.
Anche per interpretare san Nicolò bisogna seguire un corso per imparare ad affrontare nel modo giusto l’incontro con i bambini nelle loro case, incontro che può essere richiesto dalle famiglie a vari enti religiosi.
I colori fondamentali di questa festa sono il rosso e il nero, con cui spesso anche i diavoli sono agghindati.
SAN NICOLÒ
Ai giorni nostri San Nicolò è solitamente trainato su un carro. Con i bambini che nel corso dell’anno si sono comportati bene, egli sarà generoso con regali e dolci, mentre per chi non si è comportato bene ci sarà del carbone e un rimprovero. Oltre a questo compito, San Nicolò deve anche placare le ire dei diavoli nei confronti degli spettatori, essi infatti sono selvaggi, violenti e feroci: rincorrono tra urla mugugni e grida non solo bambini e ragazzi, ma anche adulti e i più anziani, dando qualche colpetto con una piccola frusta alle gambe di chi gli capita sulla strada o sporcando il loro viso con la pece o la cenere. Al tramonto San Nicola scompare, lasciando i Krampus senza controllo, liberi di rincorrere la folla anche fino a sera, quando poi spariranno.
Diverse sono le tradizioni che vedono i Krampus protagonisti in Italia, alcune delle città in cui si svolgerà il corteo saranno:
Brunico il 6 dicembre con oltre 400 diavoli che infesteranno il centro della città dalle 18 alle 22 circa
a Dobbiaco si svolge il più grande raduno del Sud Tirolo il 7 dicembre, sempre verso le 18.
Il corteo di Campo Tures, invece inizia alle 19 del 6 dicembre.
fonte:
https://meravigliosonatale.altervista.org/2013/11/i-krampus-i-diavoli-del-natale-tra-storie-e-leggende.html
Elfi e folletti del Natale potevano però rivelarsi anche creature buone. In Norvegia e Danimarca gli elfi della casa che durante l’anno vivevano nelle soffitte e nelle stalle, la notte di Natale nascondevano dei regali per i bambini.
fonti:
http://ontanomagico.altervista.org/folletti-natale.htm
http://www.gnomi.org/i-folletti-maligni-del-natale/
LA BEFANA
La Dodicesima notte dopo quella di Natale è la vigilia del giorno della Befana.
La Befana di oggi è una fata vecchia e saggia che ha rinunciato all’incantesimo che fa apparire sempre belle e giovani tutte le fate. E’ una vecchia con qualche problema di artrite e tante rughe, ma dal cuore generoso.
La Befana risale al tempo dei tempi quando gli uomini celebravano i riti del passaggio dal vecchio al nuovo anno per propiziarsi la Natura. Stanca e rinsecchita per il faticoso lavoro compiuto durante l'anno, la Natura si manifestava con le sembianze di una vecchia comare, decisamente brutta, ma tanto buona: così offriva dolci e regali, a simboleggiare i semi che a primavera avrebbero permesso il risveglio.
In Germania era la dea Berchta a galoppare nei cieli seguita da elfi, fate e dai fantasmi dei bambini piccoli. Ispezionava le case e controllava l’operato delle massaie: che la casa fosse linda e ordinata, che i bambini fossero puliti e ben tenuti. Gli uomini la temevano, perché poteva punirli severamente se non le lasciavano delle offerte di cibo, mandando loro delle orribile malattie.
Al periodo dell'antica Roma troviamo la dea Strenia e le feste in suo onore, che si celebravano all’inizio dell’anno: ci si scambiavano auguri e doni in forma di statuette d'argilla, o di bronzo e perfino d'oro e d'argento (e di qui la parola strenna come sinonimo di regalo). Queste statuette erano dette "sigilla" e le Sigillaria erano feste attese soprattutto dai bambini che ricevevano in dono bamboline e animaletti di pasta dolce.
Il primo gennaio era usanza presso gli antichi romani scambiarsi miele con datteri e fichi secchi scrive Ovidio“perché nelle cose passi il sapore, e l’anno qual cominciò sia dolce” accompagnati da ramoscelli di alloro detti strenne. Erano di buon augurio perchè raccolti dal boschetto consacrato alla dea Strenia apportatrice di fortuna e di felicità. Il lavoro del primo dell’anno aveva un valore rituale di auspicio.
Nel Medioevo durante le notti delle feste natalizie il popolo contadino credeva ancora di vedere volare sopra i campi appena seminati, Diana la dea della luna e della fertilità. All'inizio Diana e le sue seguaci non avevano nulla di maligno, ma la Chiesa cristiana le condannò in quanto pagane. Di qui nascono i racconti di vere e proprie streghe, dei loro voli e convegni a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno.
Di feste per la "Befana" si ha traccia già nel XIII secolo (feste caratterizzate da fuochi, canti e balli) e nel Cinquecento le "Befane" sono varie figure stregonesche che spaventano i bambini ma nel Seicento queste Befane si riducono a due, una buona e una cattiva. In un secondo tempo la Befana diventa un unico personaggio con una forte dualità.
Nella Befana di oggi si fondono tutti gli elementi della vecchia tradizione: la generosità della dea Strenia e lo spirito delle feste dell'antica Roma; i concetti di fertilità e fecondità della mite Diana; il truce aspetto esteriore avuto in eredità dalle streghe; una punta di crudeltà ereditata da Frau Berchta. Ancora oggi un po' ovunque per l'Italia il 6 gennaio si accendono i falò, e, come una vera strega, anche la Befana viene qualche volta bruciata...
Queste "Befane" portano in sé il bene e il male: sono gentili, benevole, sono le dee della vegetazione e della fertilità, le protettrici delle filatrici, ma nello stesso tempo si dimostrano cattive e spietate contro chi fa del male o è prepotente e violento.
fonte:
http://ontanomagico.altervista.org/befana-tradizione.htm
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