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Re Artù:La verità oltre la leggenda

il Sabba delle streghe

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Luoghi magici in Italia

Luoghi magici in Italia: misteri e leggende del Bel Paese

«L’Italia non è colma solo di bellezze e cultura, ma anche di misteri, segreti e leggende che la rendono ancora più affascinante: scopriamo insieme alcuni luoghi magici del nostro paese»

Già, la nostra terra è colma di bellezze, cultura e storia, ma è anche uno dei paesi più misteriosi al mondo. Ogni suo angolo infatti racchiude un segreto, una leggenda, un mistero inquietante risalenti al medioevo, all’età romana o a quella etrusca. Infatti l’Italia, sebbene sia la patria del cristianesimo, è sempre stata abitata da un mosaico di popoli, specialmente popoli pagani, che nel corso dei secoli hanno lasciato i loro misteri racchiusi nella nostra terra. Vediamo insieme alcuni dei più strani luoghi magici e mitologici d’Italia.
Cappella di Sansevero a Napoli


Fu il duca di Torremaggiore Giovan Francesco di Sangro a far costruire la cappella Sansevero (sito ufficiale) all’inizio del ‘600, nel centro storico di Napoli; ma è a Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, che dobbiamo attribuire il merito di averla resa un luogo così magico e colmo di mistero. Intanto partiamo dal presupposto che la tradizione vuole che Raimondo sia stato il primo Gran Maestro della Massoneria napoletana, un alchimista che faceva diabolici esperimenti. Il più famoso tesoro della cappella è il Cristo Velato: un vero capolavoro che rappresenta una delle più suggestive e belle sculture al mondo. L’opera, di Giuseppe Sanmartino, avrebbe dovuto essere una semplice statua a grandezza naturale del Cristo coperto da un sudario; ma questo, in realtà, è talmente trasparente e finemente ripiegato che non sembra assolutamente essere di marmo. Per questo si ritiene che la sua trasparenza sia il frutto di un processo alchemico di marmorizzazione compiuto da Raimondo stesso.

 Stesso ragionamento per la statua della Pudicizia, realizzata in onore alla madre del principe: il velo sembra davvero essere reale e la donna velata è un chiaro riferimento a Iside, dea massonica.


Un altro piccolo particolare inquietante: nella Cavea sotterranea sono conservate le famose Macchine anatomiche, due scheletri di un uomo e di una donna in posizione eretta con il sistema altero-venoso quasi perfettamente integro. Ancora oggi non si sa attraverso quali procedimenti o materiali si sia potuta ottenere una simile e perfetta conservazione dell’apparato circolatorio.

Eremo di Montesiepi a Siena

Vicino all’abbazia di San Galgano (sito ufficiale), in provincia di Siena, sorge l’Eremo di Montesiepi, costruito subito dopo la morte del Santo sopra l’antica capanna dove visse l’ultimo anno della sua vita. Già l’abbazia è un luogo molto suggestivo di per sé in quanto, sprovvista del tetto, regala ai suoi visitatori un’esperienza quasi surreale.


 Ma è l’eremo di Montesiepi che merita veramente di essere inserito nella lista dei luoghi magici d’Italia: è infatti uno dei posti in cui si dice che vi sia custodito il Santo Graal (che si crede fosse o il calice usato da Gesù nell’ultima cena o la coppa usata dalla Maddalena per raccogliere il sangue di Cristo); e la forma della Rotonda ricorda proprio una coppa rovesciata! Ma le sorprese non sono finite:

 infatti all’interno dell’Eremo, al centro della Rotonda, c’è la famosa spada di San Galgano custodita da una teca di vetro e infissa da oltre 800 anni nella roccia dal santo con lo scopo di trasformarla in una croce, proprio come egli trasformò la sua vita da ribelle a dedita al cristianesimo.


Villa Palagonia, Bagheria
In Sicilia, in provincia di Palermo sorge la mostruosa e affascinante Villa Palagonia (sito ufficiale), uno dei luoghi magici più visitati e famosi dell’isola. Goethe ne rimase quasi disgustato, Salvador Dalì invece voleva comprarla per renderla la sua residenza in Sicilia.


La costruzione di Villa Palagonia ebbe inizio nel 1715 per volere di Don Ferdinando Gravina, ma fu l’erede Francesco Ferdinando Gravina II detto il Il Negromante che la rese davvero uno dei luoghi magici più strani d’Italia. Persona stravagante, che dedicò la sua vita allo studio della mitologia, Francesco adornò la villa con statue grottesche, animali deformi, figure antropomorfe e inquietanti intrise di miti e leggende. In particolare si dice che questi mostri portino aborti o facciano partorire figli dall’aspetto orribile, proprio come il loro. Altri invece credono addirittura che il fantasma del pazzo Negromante si aggiri ancora per la villa.

Isola Bisentina nel Lago di Bolsena

Si dice che su quest’isola si trovi uno degli ingressi al Regno di Agarthi, un regno leggendario che si crede essere situato all’interno della Terra. Sembra che questo regno sia abitato da un popolo evoluto, pacifico e intelligente, e che i suoi accessi, visibili esclusivamente ad iniziati e illuminati, siano sparsi per il mondo.
 E quindi pare che questa piccola isoletta, considerata sacra fin dai tempi degli Etruschi, costituisca uno di quegli accessi magici. Strano vero?
Castel del Monte ad Andria

Sicuramente uno dei castelli più belli e celebri d’Italia, Castel del Monte (sito ufficiale) è forse anche il più enigmatico. Fu costruito nel XIII secolo per volere di Federico II, ma i motivi sono sconosciuti: è isolato e non posto in zone strategiche, quindi sicuramente non aveva scopo difensivo.

Tutto gira intorno al numero 8: ha una struttura ottagonale, con otto torri anche esse ottagonali, e all’interno sono presenti otto stanze. Tante sono state le interpretazioni: per alcuni anche esso potrebbe custodire il Santo Graal, mentre altri credono che esso stesso sia il Santo Graal (alquanto surreale! ndr). C’è invece chi vi ha visto un vero e proprio percorso iniziatico, chi un osservatorio astronomico o chi un enorme congegno matematico.

Riviera dei Ciclopi ad Aci Trezza

Questo straordinario luogo siciliano deve la sua fama alle vicende mitologiche di Ulisse narrate nell’Odissea. Infatti Omero narra che qui viveva il ciclope Polifemo, figlio di Poseidone. Egli riuscì a catturare Ulisse e i suoi compagni durante il loro viaggio, divorandone alcuni; ma, come tutti sappiamo, Odisseo con la sua astuzia riuscì ad accecarlo con un palo dalla punta arroventata. La leggenda vuole che Polifemo, accecato sia dal dolore che dalla rabbia, scagliò dei frammenti di roccia verso Ulisse. Queste rocce sono appunto le odierne Isole dei Ciclopi, un luogo suggestivo, colmo di fascino, leggende e magia, specialmente con le straordinarie luci del tramonto.


Torino: la città più esoterica d’Italia
Se si parla di luoghi magici della nostra penisola, non si può non menzionare Torino: infatti la leggenda vuole proprio che questa città fosse stata fondata da Fetonte, figlio di Iside, dea della magia. Inoltre Torino fa parte di ben due angoli magici: quello della magia nera insieme a San Francisco e a Londra, e quello della magia bianca con Lione e Praga. In particolare si dice che la centrale Piazza Stauto sia per eccellenza la sede della negatività e del male, specialmente a causa del suo Monumento al Traforo del Frejus. E tantissime altre cose ci sarebbero da dire a proposito della magia e dei tantissimi luoghi esoterici a Torino, che un piccolo paragrafo non basta…ma non temete! A breve vi svelerò ogni mistero di questa città.

Il giardino massonico-esoterico di Isabella Radicofani (SI)


Il Bosco Isabella è un Giardino Romantico-Esoterico: si trova sulla strada che costeggia la parte sud del borgo di Radicofani e si estende per circa 2,5 ettari. L’origine del nome si deve a Odoardo Luchini (1844-1906) che lo chiamò Isabella in onore di sua moglie.
Fu realizzato su un terreno agricolo alla fine dell’800 dalla famiglia Luchini. Odoardo Luchini fu garibaldino nella terza guerra di indipendenza e poi deputato e senatore del Regno, mentre sua moglie Isabella Andreucci (1842-1924) fu anch’essa moglie di un senatore.
L’idea da seguire per la realizzazione del giardino era quella di evitare il più possibile che le costruzioni potessero avere un’impatto sulla natura incontaminata del luogo; un’opera in perfetta armonia con l’ambiente circostante. All’interno del bosco vennero edificati muretti a secco, sentieri, ponticelli piani e tutto con materiali provenienti dallo stesso luogo.

La Via Francigena
Furono messi in risalto dei massi basaltici, dislivelli del terreno e polle d’acqua già esistenti. Furono messi in evidenza anche i resti di una costruzione antica a mura poligonali, forse un luogo di culto etrusco o addirittura anteriore rinvenuto nel 1902, ed i resti di un fortino senese che monitorava la Via Francigena sottostante e distrutto da i Medici nell’assedio del 1555.

Nel Bosco di Isabella venne costruita addirittura una piramide in pietra a base triangolare nel centro del giardino. Tale piramide è uno degli elementi simbolici esoterici che sono sparsi all’interno del bosco. Il perché della simbologia è spiegato dal fatto che la famiglia Luchini aderiva ad una Loggia Massonica e hanno voluto ricreare nel giardino una sorta di percorso iniziatico-esoterico; in sostanza un vero e proprio tempio massonico all’aperto.

In realtà dunque, quello che sembra naturale è invece stato inserito in modo volontario e studiato.

Alcuni esempi sono la disposizione di alcune essenze arboree a gruppi di tre, chiaro numero simbolico, la giara interrata prima del piazzale che ricorda il catino del tempio di Salomone usato per le abluzioni, o i due grandi massi disposti all’inizio del sentiero che porta alla piramide, che rappresentano le due colonne del tempio salomonico Boaz e Jachin, la siepe di Bosso a forma di cerchio che rappresenta l’occhio onniveggente e non per ultimo proprio la piramide, simbolo per eccellenza della massoneria.
Ora il Bosco Isabella è stato dichiarato di interesse pubblico e classificato tra le bellezze naturali con una legge del 1939. Successivamente acquistato dal Comune di Radicofani nel 1983, oggi è diventato parco pubblico.

Statue Parlanti. Il congresso degli Arguti Roma (RM)

Tra i miti e le leggende che popolano Roma non possono mancare le “Statue Parlanti”. Le Statue Parlanti hanno molto da raccontare sia nell' immaginario  popolare, da cui proviene il loro nome, sia come figure mitologiche; affabulano: sono l’esempio vivente di come un’immagine racconti una storia e ne diventi il simbolo e come tali sono parti di un discorso cominciato tanti anni fa. Si può ripercorrere a ritroso il loro lungo cammino affabulatorio.
L’inizio della leggenda 
Tutto ebbe inizio nel XVI secolo, in una Roma rinascimentale dove il potere e la ricchezza dei cardinali aumentano a dismisura, senza contare dello scempio cui sono soggetti i vecchi edifici romani denudati dei loro marmi per andare ad arricchire le case dei curiali che dovevano dare bella mostra delle loro ricchezze. Il popolo romano deluso e disilluso utilizza le Statue Parlanti come arma ironica, soprattutto, e dissacratoria, contro il potere teocratico dei papi, il governo e i personaggi più in vista. La satira latina rivisse per bocca delle statue parlanti, alle quali si affiggevano le anonime denunce politiche e di costume, scritte in versi ed in latino, che presero il nome di pasquinate, dal più illustre di questi personaggi in pietra Pasquino.
Le epigrafi in calce alle statue parlanti, antesignane della libertà di stampa, sono l’unico mezzo disponibile per un popolo che, ancora non si può considerare rivoluzionario in quanto impossibilitato o diremo timoroso ad agire, manifesta verbalmente in piazza, luogo pubblico per eccellenza, le angherie e le miserie a cui è sottoposto.

Pasquino

Il più “loquace” tra tutte le Statue Parlanti di Roma è Pasquino, numerose raccolte di scritti ed iscrizioni ne hanno tramandato gli acuti epigrammi. Una delle più celebri “pasquinate” è quella diretta al papa Urbano VIII, della famiglia Barberini, che fece togliere al Bernini le parti bronzee del Pantheon per la realizzazione del baldacchino di S. Pietro (1633): quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini.

Dal 1501 Pasquino si trova ad un angolo di palazzo Braschi, alle spalle di Piazza Navona, si tratta di un torso di figura maschile, la copia di un originale bronzeo risalente al III secolo a.c., facente parte di un antico gruppo statuario ellenistico, raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo. Ma è così male conservato che dire con certezza chi rappresenti è impossibile, forse un re o un eroe dell’antica Grecia. Non si può dire con sicurezza quale sia l’origine del suo nome, forse il nome di un sarto, di un barbiere o semplicemente di un professore della zona.

Un interlocutore di Pasquino è Marforio poiché in alcune delle satire le statue dialogavano tra di loro. Anche in questo caso si tratta di una statua antica. La colossale statua barbuta distesa su un fianco, oggi in piazza del Campidoglio, un tempo era ai piedi del colle Capitolino, raffigura l’Oceano, il Tevere oppure il fiume Nera. Il marmo, risalente al I secolo a.C. fu ritrovato nel Foro Romano vicino ad una conca di granito nei pressi dell’Arco di Settimio Severo. Sulla conca vi era scritto “mare in foro”: dalla deformazione di questa iscrizione, per alcuni, deriverebbe il nome di Marforio. Per altri l’etimologia di questo nome deriverebbe dalla famiglia Marioli, che nel XIV secolo risiedeva nei pressi del Carcere Mamertino, oppure trae origine dal Foro di Marte (Mars Fori).

Sercol, la Stonehenge italiana
Alla scoperta del misterioso cerchio di pietre di Monte Cavallo
Nuvolera (BS)


Esistono luoghi che si dimenticano, altri che vogliono essere dimenticati. Zone che inspiegabilmente hanno un influsso negativo, che vengono evitate. Permangono solo in alcuni lontani ricordi o in leggende locali che vengono bisbigliate all’orecchio per timore che si possano diffondere come un male oscuro. Eppure l’etimologia latina di leggenda (legenda) significa ‘degno di essere letto’ e quindi riaffi ora dai meandri del passato e della memoria; si libera delle sterpaglie che lo ricoprivano e le pietre ritrovano la luce riacquistando il loro antico nome: Sercol.

Il misterioso cerchio del Sercol

È situato nel territorio del paese di Nuvolera, in provincia di Brescia, sulla sommità di una ripida e impervia collina denominata Monte Cavallo. Le pietre sono disposte a forma circolare (non a caso, sercol è un termine dialettale bresciano la cui traduzione è circolo), con un diametro complessivo di 42 metri. Un accumulo di centinaia, se non addirittura migliaia di tonnellate di pietrame calcareo atto a riempire un fossato che raggiunge la profondità di 2 metri. Quasi un confine che delimita un’area pianeggiante, ottenuta con un immane lavoro di sterro, al cui interno sono collocati alcuni massi e rocce, uno dei quali di particolare interesse.

Su tutta l’area dove sorge il sito, evitato e volutamente trascurato per centinaia di anni, ha preso il sopravvento la natura che l’ha avvolto in un intrico quasi inaccessibile di bassa vegetazione costituita di rovi ed arbusti. Uno degli elementi distintivi e sicuramente misteriosi di questo luogo, è i l fatto che una sua chiara visuale d’insieme sia apprezzabile soltanto dall’alto. Quasi associabile alle linee di Nazca del Perù dove i geoglifi sono riconoscibili unicamente sorvolandoli con un aereo, le reali fattezze del Sercol si possono distinguere grazie a fotografi e satellitari.

Il Monte Cavallo

Ci troviamo quindi a tutti gli effetti di fronte ai resti di un grande ed insolito manufatto protostorico, antico di migliaia di anni. Come accennato all’inizio del capitolo, la zona sulla cima del Monte Cavallo è da tempo immemore considerata maledetta e tabù dalla gente del luogo. In particolar modo non dovevano avvicinarsi i bambini, per nessun motivo. Un divieto tramandato per generazioni e generazioni.

Sul luogo sono fiorite leggende e tradizioni orali, che parlano di scheletri sepolti tra le rocce e di spiriti malvagi. È noto che spesso siano stati scelti siti di culto pagano o precristiano per erigere chiese, cattedrali e monasteri, quasi a suffragare il cattolicesimo al di sopra di ogni altra religione. Esistono, ad esempio, centinaia di casi in cui edifi ci cristiani sono stati eretti sopra le macerie di antichi templi romani.

Il canto dei galli

Misteriosamente, la glorificazione di Gesù sul Sercol non ebbe luogo. Infatti esiste un’ennesima leggenda locale che narra della volontà da parte di monaci medievali di sostituire quegli antichi resti in pietra con un monastero stranamente mai realizzato. Infatti ben presto i monaci furono costretti a scappare e ad abbandonare il progetto perché messi in fuga dal canto dei galli. Ogni leggenda racchiude metafore che devono essere interpretate. Forse il canto dei galli è associato al significato di rinnegazione di Cristo e del cattolicesimo. Infatti in tutti i Vangeli è narrata la storia di Pietro che rinnega il Salvatore prima che il gallo canti per tre volte. Ad esempio, in Giovanni 18, 25-27 si legge:

Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi. Gli dissero: “Non sei anche tu dei suoi discepoli?”. Egli lo negò e disse: “Non lo sono”. Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: “Non ti ho forse visto con lui nel giardino?”. Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

Due possibili conclusioni

Questa teoria conduce a due possibili conclusioni totalmente opposte: i monaci avrebbero rinnegato Cristo oppure i loro progetti sarebbero stati bloccati dalla popolazione locale che ha preferito mantenere il precedente culto pagano a quello cattolico. L’intera zona, secondo altre dicerie locali, sarebbe inoltre stata infestata da una creatura mostruosa e feroce, una serpe smisurata dalle caratteristiche quasi magiche, in grado di paralizzare con il solo sguardo l’incauto viandante che avesse malauguratamente incrociato il suo cammino. Questa bestia, caratterizzata sul dorso da creste come quelle dei galli e dall’emissione di un verso molto simile a quello del volatile, viene denominata bes galilì, serpente galletto per l’appunto.

Trattasi infatti di una tipica figura del folklore bresciano alla quale viene dedicato anche un noto dolce della zona, il bossolà, da bes ‘mbesolat, la cui traduzione è serpente arrotolato. Assimilabile al più comune e conosciuto basilisco, che fonde a sua volta le proprie radici nella tradizione precristiana. Riallacciandosi all’episodio dei monaci precedentemente citato, si potrebbe quindi ipotizzare che siano fuggiti udendo il verso del bes galilì o più probabilmente è un’ennesima metafora che descrive la difficoltà per il cristianesimo di convertire popolazioni ancora dedite a culti pagani. Sebbene queste siano solo fantasiose teorie, è invece indubbio che i racconti popolari tramandati di generazione in generazione abbiano fortemente contribuito a rendere il Sercol, nell’immaginario collettivo, un luogo avvolto da una fitta coltre di mistero.


I primi sopralluoghi 

Spinti dalla volontà di dare finalmente risposte più chiare e speranzosi di ritrovare testimonianze storiche oggettive al fine di capire la genesi e l’originaria funzione del ‘cerchio maledetto’, abbiamo effettuato dei primi sopralluoghi. Ci siamo avvalsi del supporto di un esperto del settore, il dottor Alberto Pozzi, della S.A.C. (Società Archeologica Comense).

L’accesso al sito

L’accesso al sito è stato tutt’altro che facile. Ci siamo dovuti letteralmente creare una via d’accesso calpestando rovi e piante spinose, ma raggiunte le prime pietre, abbiamo immediatamente riconosciuto l’importanza e l’imponenza del luogo. La straordinaria posizione naturale, su una sommità dalla quale si dominano le vallate circostanti, rende il luogo ideale per l’osservazione astronomica.

Si è a priori esclusa la possibilità che si trattasse dei resti di un abitato fortificato, giacché, per quanto sia ubicato in ottima posizione strategica, la totale mancanza di acqua e l’esiguità del recinto, l’avrebbero reso totalmente inidoneo a qualsiasi tipo di insediamento. Inoltre la nostra ipotesi è stata avvalorata dall’esame dell’accumulo di pietre da cui si è riscontrata l’assenza di tracce di collanti e malte. Questo renderebbe quindi l’area più adatta a marcare un confine più che altro “formale”, delimitante probabilmente un “terreno sacro”. Esattamente al centro del cerchio, è posta una grande roccia, già citata all’inizio dell’articolo.

L’incisione dalla forma antropomorfa

Risulta molto interessante in quanto mostra una profonda incisione dalla forma antropomorfa, raffigurante una figura adorante un disco solare (rappresentato da una profonda coppella) perfettamente orientato verso il ovest, dove ogni giorno, il sole che tramonta, “muore”. Secondo una mia personale teoria (Bellelli ndr), l’incisione potrebbe essersi formata a causa di un’erosione in origine naturale e in seguito adattata e modificata ulteriormente dall’uomo.

Le antiche tribù indigene, trovando quello che individuarono come un’immagine o un segnale divino sulla cima di un colle (che forse ritenevano già sacro), lo considerarono di origine sovrannaturale. Come la prova o la testimonianza di un’impronta tangibile della presenza divina che in quel luogo si presentava e scatenava tutta la sua potenza.


Si procedette quindi allo scavo della coppella “solare” e venne rimodellata l’incisione naturale in un petroglifo. Forse, a mio avviso, fu proprio questo il motivo per cui, con sforzo immane, fu eretto il Sercol: per delimitare l’area in cui si era manifestato il Dio.

Quindi, in cima alla collina precedentemente descritta, venivano anticamente effettuate le osservazioni astronomiche atte sia al compimento dei rituali, sia a pianificare l’attività agricola e l’allevamento del bestiame presso le comunità protostoriche locali. Quest’ultima ipotesi è stata confermata e avvalorata dagli studi archeoastronomici del Prof. Gaspani dell’Osservatorio di Brera.

Osservatori astronomici

In siti come il Sercol, l’osservazione degli astri avveniva ponendo l’osservatore in un determinato luogo, cui veniva data particolare valenza. Il termine tecnico per definire questo luogo è punto di stazione. Da qui venivano effettuate le osservazioni astronomiche mediante due tipi di traguardi: utilizzando come punti di collimazione alcuni elementi del paesaggio e dell’orizzonte, facendo sì che il sorgere e il tramontare di astri come il Sole e la Luna potessero essere osservati in corrispondenza delle cime di certi monti o colline oppure delle selle formate da essi. La seconda possibilità consisteva nell’utilizzare traguardi d’orizzonte artificiali quali monoliti o pali lignei tali da marcare gli allineamenti astronomici direttamente nel sito. I luoghi destinati a simile funzione venivano scelti con molta attenzione, ovviamente posizionati sulla cima di alture dalla visuale adatta.

Cima che veniva quindi spianata, in modo da ricavarne una piattaforma adatta sia allo scopo religioso che osservazionale. Spesso aree del genere venivano quindi recintate da palizzate di legno o da terrapieni come quello del Sercol, al fine di delimitare l’area sacra, dove era consentito l’accesso soltanto ai sacerdoti o a pochissimi prescelti. Grazie a queste iniziali ricerche, il Sercol ha riacquistato visibilità dopo secoli di anonimato. Spinti probabilmente da ingenuo entusiasmo, sono comparsi articoli di giornalisti che lo defi nivano lo “Stonehenge bresciano”.

Il Sercol e Stonehenge

Attribuzione impropria in quanto, dal punto di vista strutturale e architettonico le due strutture presentano tecniche di costruzione molto diverse: il sito inglese infatti è costituito da grandi monoliti, del peso di parecchie tonnellate ciascuno e provenienti da zone lontane spesso centinaia di chilometri. Rientra perciò a pieno titolo tra le costruzioni megalitiche (da megas = grande e lithos = pietra). Il cerchio di Nuvolera è invece costituito da un terrapieno formato da migliaia di pietre di piccole e medie dimensione, di provenienza locale. Il risultato è in ogni caso imponente.

Quello che accomuna il Sercol a Stonehenge è invece la sua funzione, cultuale e di osservazione astronomica. Da precisare che nella preistoria e nella protostoria europea, non tutti i luoghi adibiti al culto, all’osservazione astronomica e a fini calendariali erano realizzati con megaliti. Il cerchio-santuario di Goseck, in Sassonia-Anhalt, ad esempio, era costituito da terrapieni e fossati concentrici, inframmezzati da palizzate di legno i cui accessi erano orientati secondo il solstizio d’inverno.

Sercol. Un antico tempio.
A lungo considerato come un antico fortilizio, insieme a strutture analoghe in tutta l’area danubiana e mitteleuropea, è stato oggetto di recenti studi che ne hanno reinterpretato la funzione, riconoscendo in esso un antico tempio risalente al 4800 a.C. Analoghi al Sercol, almeno nella struttura, troviamo anche i cosiddetti Cairn di Dartmoor, nel Devon, cerchi di pietre ammassate senza nessun collante al cui interno in genere è collocata una sepoltura.

La sovrintendenza della Lombardia, a cui abbiamo segnalato il luogo, affinché se ne prendesse cura e avviasse studi specialistici, ha definito il Sercol, seppure con la naturale cautela che contraddistingue gli archeologi, ”imponente e meritevole di indagine”.



La collina del Monte Cavallo è frequentata da parecchie migliaia di anni, come confermato da selci ritrovate in zona, ma bisogna aspettare il dato archeologico ufficiale prima di poter dare una datazione precisa del Sercol. Per quanto cautamente, azzardando un’ipotesi, si può considerare l’erezione del cerchio come appartenente alla tarda età del bronzo e quella del ferro. Questo grazie alla presenza di linee astronomicamente significative verso i punti dell’orizzonte locale, dove, dalla cima della collina, erano osservabili la levata e il tramonto degli astri più luminosi ed importanti per quelle popolazioni. Altri santuari simili, tuttora in fase di studio, sono riscontrabili nell’Italia centrale, spesso rimaneggiati e riutilizzati in epoche successive come fortilizi o ricoveri per il bestiame.

San Marino tra leggenda e mistero – percorso storico
Una leggenda dice che la creazione del Monte Titano, su cui si erge la città di San Marino, sia dovuta a dei terribili giganti chiamati Titani; questi erano figli di un fratello del dio Saturno, zio di Zeus, che si trovava sull’Olimpo. I Titani decisero di assalirlo mentre dormiva e per scalare il cielo cominciarono ad accumulare macigni uno sopra l’altro, ma Zeus fu avvertito e li fece precipitare sulla Terra: restò solo la montagna fatta di macigni, che per questo motivo fu chiamata Titano. Questo è solo uno dei misteri che avvolgono la nostra Repubblica; durante la visita verranno raccontate leggende e miti della più antica Repubblica del mondo, sarà un cammino emozionale tra fantasia e realtà.



A piedi attorno al Monte Titano: il sentiero delle Streghe

Passeggiando all’interno del centro storico di San Marino e proseguendo la vostra visita verso le Tre Torri, scoprirete che quest’ultime sono collegate fra di loro tramite un un sentiero, meglio conosciuto come “il sentiero delle streghe”.

Il percorso delle tre torri comincia con la Rocca Guaita, la più antica delle tre, che infatti risalirebbe addirittura al 1000. La rocca Guaita si trova a strapiombo sulla roccia e venne costruita per sorvegliare le aree circostanti e infatti, in dialetto Guaita significa proprio “fare la guardia“.

Proseguendo lungo il sentiero vi ritroverete alla seconda torre di San Marino, detta Cesta: sorge sulla vetta del Monte Titano e ospita il Museo delle Armi Antiche, che comprende circa 535 oggetti risalenti a varie epoche tra il Medioevo e la fine dell’800.

Il sentiero termina raggiungendo la terza torre, chiamata Montale, l’unica che non può essere visitata al suo interno.

La leggenda…

Nel Medioevo, il castello di San Marino, era pieno di soldati, che appena vedevano un gatto nero, partivano all’attacco per uccidere un’eventuale strega perché tutti vedevano le streghe come donne invidiose, dai capelli rossi, che volevano uccidere le ragazze più belle di loro.Ma nessuno sapeva che la bellissima principessa era pure lei una strega e che ogni notte andava al Sentiero delle Streghe e la sua chioma castana diventava la candida pelliccia di una gatta. Al Sentiero delle Streghe lei e tante altre ragazze facevano strani riti, che però erano innocui: usavano erbe, legno, sassi, terra, e specialmente fiori colorati e profumatissimi. Ma soprattutto si esibivano in danze graziose e delicate, raccontando attraverso il canto antiche ballate.

Una notte come tante altre di Luna Piena, le fanciulle iniziarono i loro riti innocui. Passava di lì un giovane soldato, che vide la bellissima principessa, ma non la riconobbe e si nascose acquattato dietro ad un cespuglio. Le ragazze, alla comparsa dei primi raggi del sole, tornarono alle loro case, sotto forma di gatti neri e bianchi.
La principessa restò lì ancora un po’ e il giovane decise di parlarle: le disse che la amava, che non voleva dare l’allarme e che aveva capito che le streghe non erano malvagie. Lei nel frattempo si era spaventata, ma scoprì di ricambiare pienamente l’amore del giovane. Poi venne la luce del giorno e si dovettero separare.Ogni notte si incontravano nel Sentiero delle Streghe, fino a quando una notte arrivò un’orda di soldati, che fecero una strage di streghe. La principessa si salvò perché il soldato si sacrificò per salvarla. Lei, folle per il troppo dolore, si buttò dalle mura del castello lanciando un urlo penetrante e acuto che riecheggiando tra le rocce, svegliò il padre. Quest’ultimo bandì la caccia alle streghe e dopo qualche mese morì di crepacuore.
La leggenda vuole che ancora oggi alle cinque del mattino, in fredde notti invernali, si sentano ancora l’urlo e il pianto disperato della ragazza.



La storia

La prima torre, detta anche Rocca o Guaita, è la più vecchia in ordine di tempo degli edifici di epoca medievale (attorno all'anno Mille). Ma sappiamo che un ben più antico nucleo esisteva già sulla cima più alta, dov'è collocata la seconda torre (detta Cesta), almeno fin dal periodo romano. Si ritiene che qui fosse il rifugio dei primi abitatori del Titano. Non siamo a molta distanza dal punto in cui morì, secondo la tradizione, San Marino 
Il complesso fortilizio sorge a strapiombo sulla rupe e non ha fondamenta, poggiandosi come per incanto sulla nuda roccia; l'impatto visivo è di notevole suggestione. Il nome Guaita si usa ancora nel dialetto locale a significare 'fare la guardia'; infatti il forte era stato eretto a scopo difensivo ed è costituito da due cinte di mura, una più esterna con merlature e torri angolari di rinforzo e quella più interna,che è anche la più antica e al suo interno ha
gli edifici militari (per le guarnigioni) che furono adibiti a carceri in epoca successiva, dove abbiamo trovato interessanti graffiti e disegni lasciati dai prigionieri;
la Torre campanaria
la Torre della Penna, dalla inusuale pianta pentagonale (antica torre di guardia)
un pozzo con cisterna
La cappella di S.Barbara

Si entra nel complesso da un bell'ingresso ad arco, che un tempo era dotato di ponte levatoio; immediatamente a sinistra si nota una piccola ma graziosa chiesa, dedicata a Santa Barbara e chiamata anche cappella di Rocca. Le sue forme neoromaniche non devono ingannare:essa non è antica ma risale al 1960, eppure vi si possono scorgere alcuni elementi sicuramente medievali, perchè sono stati prelevati da un edificio di culto del XII secolo che si trovava nel Castello di Domagnano. Così, sopra la lunetta, si vedrà un bassorilievo di difficile decifrazione tanto è consunto; sul bordo destro è ben visibile una piccola croce. Sulla facciata laterale destra, in alto, vi sono altri particolari antichi.

Nel cortile sono esposte alcune artiglierie (cannoni) che il re Vittorio Emanuele III donò nel 1907; vennero usate fino ad epoche recenti per tirare colpi a salve nei giorni di solenni festività civili e religiose (oggi gli spari sono sostituiti dai rintocchi del Campanone).

Il percorso può partire da dove si preferisce; noi, dopo la chiesa, abbiamo optato per il giro di ronda sopraelevato, lungo le mura esterne, da cui si gode uno spettacolare panorama; si incontrano le torrette di vedetta, in cui si può sentirsi parte della storia qui vissuta, giungendo all'apice del camminamento, conformato a carena di nave, che culmina a punta protendendosi verso la seconda Torre.

Da qui è ben apprezzabile anche la Torre della Penna, che ha l'aspetto attuale dal XV secolo, e sulla quale si può salire tramite delle anguste scale interne. Per farlo bisogna entrare nel secondo giro di mura, quello interno, a cui si accede agevolmente tramite un portale sulla cui chiave di volta è un'iscrizione quasi ormai illeggibile, che è una data: 1487 o 1481(compatibile con i lavori di restauro dell'epoca). Superato il portale, a destra si può accedere al percorso panoramico e salire sull'antica torre di guardia, che regalerà sensazioni vertiginose: oltre alle poderosa mura del fortilizio della seconda Torre (a nord) se c'è sereno lo sguardo volerà fino alle cime del Conero, mentre una distesa vellutata pianeggiante lo condurrà al mare; a sud è invece apprezzabile l'Appennino e il monte Carpegna, che rappresentava nel medioevo un punto nodale di sorveglianza e di difesa. Compreso nel territorio dei duchi di Montefeltro, che erano alleati ai sammarinesi, era dunque strategicamente importante. Ritornando sui propri passi, ci si dirige verso gli antichi locali per le guarnigioni, che ospitarono le carceri dal 1600 al 1970, per le detenzioni non superiori a sei mesi (per le altre era previsto il trasferimento nelle carceri italiane).

Nella Repubblica di San Marino non si scherzava in materia penale: dai documenti si apprende che dal 1352 vigeva la legge del taglione e torture anche efferate erano la norma anche verso le donne. Era in vigore la pena di morte dal XIV secolo e fu abolita solo il 16 marzo 1848 per acclamazione e segnando anche un'emancipazione rispetto ad altri stati occidentali. I detenuti più pericolosi erano imprigionati 'nel fondo della torre della Rocca' (che possiamo solo immaginare cosa fosse...!), gli altri erano leggermente trattati meglio. Però tutti dovevano pagarsi le spese di mantenimento in carcere; esistevano dei tariffari, che erano più salati per i prigionieri non sammarinesi e per i colpevoli di grossi reati. In una delle celle sono stati portati alla luce, sotto lo spesso strato di imbiancatura, numerosi graffiti lasciati dai prigionieri, si pensa ottocenteschi; vengono considerati come prodotti anche notevoli, frutto di 'visionarietà' o al massimo come 'alto grado di abilità espressiva'. Ne proponiamo alcuni (non ci sono sembrati opera di visionari ma sarebbero da approfondire).

Sulla Torre campanaria o Campanone non si può salire; la sua datazione più probabile è attribuita alla metà del 1500 ed è un simbolo per i cittadini, poichè nei momenti di pericolo suonava a martello, radunandoli.

Su uno dei conci vicini al campanile è stato trovato un blocco che reca scolpito un pugnale; un altro ancora riporta incisa la firma di un "Maestro Jacomo da..." (non si legge) e si trova alla base del Torrione. Vengono considerati segni o simboli lasciati dalle maestranze Comacine che nel 1200 eseguirono il primo restauro (siamo contenti di averli trovati anche qui, dove hanno costruito molti edifici anche nel centro storico). Un' iscrizione del 1622 è documentata invece sulla cinta esterna corrispondente alla cannoniera.

Il Passo delle Streghe

Prima di raggiungere la seconda Torre, ci si imbatte in un ponte in pietra, merlato, sospeso sulla cresta della rupe. Si dice che qui vi siano curiosi fenomeni, più probabilmente creati dalla suggestione ed evocati dal nome stesso del passaggio (per il meccanisimo della 'magia simpatica').

I sedili di pietra

Lungo il percorso da sogno che si snoda lungo il crinale del monte Titano, si fanno curiosi incontri.  Anzitutto è bene ricordare che qui vige un microclima particolarmente idoneo allo sviluppo di specie vegetali sia di tipo mediterraneo che medio-alto appenninico; inoltre accanto al bosco troviamo -nella parte rocciosa- piccoli lembi di prateria arida nei quali proliferano specie interessanti per i botanici come la rara (per questa zona geografica) efedra nebrodense. Innumerevoli sono le specie del mondo animale e ornitologiche, e vi nidificano vari rapaci. I chirotteri invece, a detta degli esperti, frequentano un'angusta cavità naturale che appartiene ad un complesso sistema ipogeo cui è riservato l'accesso solo agli speleologi; tale caverna è chiamata Genga del Tesoro (nome tutt'altro che scoraggiante!). E' stato documentata anche un raro anfibio urodelo, il geotritone, che vive negli anfratti rocciosi e che presenterebbe qui aggiuntive abitudini arboricole notturne. Passare da queste parti di notte, potrebbe essere un'esperienza... indimenticabile, in ogni senso!

I nostri 'incontri' più abbordabili si sono verificati però con le pietre. Vi sono curiosi sedili -scolpiti chissà quando e da chi- ricavati dalla roccia naturale, lungo il sentiero che collega le tre Torri, in particolare tra la seconda e la terza. Certo potrebbero aver servito ai visitatori per riposarsi, tuttavia esistono più pratiche e moderne panchine (anche con tavolini) per questo. Alcuni di questi sedili di pietra sono stati accuratamente squadrati; in un paio di occasioni presentano un incomprensibile foro a livello della spalliera e la seduta è pervasa da scalfitture. Secondo il nostro modesto parere, potrebbero essere anche molto antichi. Se fossero moderni, complimenti a chi ha reso questo 'verismo' di antichità; ricordano quei troni per i culti della Natura o della fertilità che hanno radici nel cosiddetto 'paganesimo'. Non trovate? Questo ambiente rupestre si concilierebbe con cerimonie all'aperto che indicherebbero come questo monte, come infatti fu, viene da sempre considerato 'sacro'.

A rinforzare ulteriormente un sentimento di 'sacralità' di queste rocce, abbiamo trovato un paio di segni incisi nella parte più alta del Titano, nei pressi della seconda Torre, proprio dietro di essa, quasi sull'orlo del precipizio (che per fotografare abbiamo fatto qualche buffo numero!): si tratta di una croce ben scolpita, che emerge da un monte (classica iconografia cristiana), due croci più piccole soltanto incise e un 'filetto' (che noi chiamiamo Triplice Cinta e sul quale abbiamo appena pubblicato un libro!) visibilmente 'raschiato' sulla pietra in tempi recenti (probabilmente opera di qualche 'buontempone' anche se chiaramente non serve a scopo ludico trattandosi di masso obliquo). Se qualcuno avesse ulteriori informazioni in merito ai sedili di pietra sopra descritti e a queste incisioni, ci farebbe piacere se ce le trasmettesse.

Nei dintorni della terza torre abbiamo notato dei grossi massi rocciosi che sono totalmente avulsi dalle costruzioni medievali, e che sono sovrapposti come a formare dei perimetri murari. Lo studioso Zani ipotizza che possano risalire alla cultura Villanoviana... Sul Titano, insomma, ci sarebbero ancora dei misteri da risolvere!

La seconda e la terza torre

La Cesta detta anche Fratta (che significa terreno cinto da siepe) o seconda torre, la più scenografica, è toponimo latino e abbiamo già accennato che almeno dal tempo dei romani si trovava qui una torre di avvistamento. Non appare dunque tanto sconcertante che su questa massima altura del monte Titano vi potesse sorgere, ancora prima dei romani, un manufatto (tempio, santuario?) protostorico. Il luogo lo evoca! Il termine "Cesta" secondo alcuni potrebbe derivare da "Cista" ovvero la cassa usata dai Romani per custodirvi arredi sacri (per un tempio?). Comunque di questo non ne abbiamo trovato traccia nelle guide consultate, nessuno lo dice. Nel 1253 si trova la torre menzionata con il nome Cesta; essa sorge sullo sperone più alto, a 755 m s.l.m. ed è il punto intermedio di questo meraviglioso percorso panoramico, storico, naturalistico, simbolico che stiamo facendo, a metà strada tra la prima e la terza torre. La struttura venne fortificata con un alto muro esterno nel 1320 e collegata al complesso delle fortificazioni della seconda cinta difensiva della città, ed espletò il suo ruolo fino alla fine del 1500, epoca in cui venne aperto l'ingresso attuale (1596). Anche qui troviamo una torre pentagonale (mastio), munita di caditoie e balestriere. C'era anche una cisterna e una chiesetta con cappellano residente. Dal 1600 perse la sua importanza e cadde in disuso, per venire recuperata e restituita al suo originario aspetto tra il 1924-'25. Oggi è visitabile ed ospita il Museo delle Armi antiche. Temiamo di stancare il lettore profondendoci ancora nelle sensazioni sublimi evocate da questi luoghi magici, perciò lasciamo il posto alle immagini... Si pensi che dall'alto delle sue mura l'occhio si perde, indeciso su dove dirigersi, incapace di catturare sì tanta bellezza e immensità; nelle giornate di massima limpidezza, si narra possa essere visibile perfino il Velebit, in Dalmazia, che in linea d'aria supera i 250 chilometri di distanza!

Percorrendo la Salita al Montale si raggiunge la terza Torre, detta anche Montale (Palatium Montalis). Essa, inizialmente staccata, venne collegata alle altre due rocche con una muraglia di cui restano delle tracce; funse da torre di avvistamento e conobbe la propria importanza durante le lotte contro i Malatesta, che occupavano il vicino castello di Fiorentino. I viandanti di passaggio erano segnalati da una campana ed erano tenuti al pagamento di un pedaggio. La porta di accesso si trova a qualche metro da terra e vi si accedeva attraverso essenziali pedarole in ferro agganciate al muro; da questa ci si calava nell' oscuro 'fondo della torre' in cui venivano gettati i prigionieri a otto metri di profondità. Non è visitabile, ma l'atmosfera di cui è circondata ripaga di aver compiuto l'intero percorso boschivo per raggiungerla. Nell'area ha sede un Parco Naturale protetto. A questo punto, il cammino termina, non si può proseguire oltre, a meno di scendere attraverso altri sentieri rupestri, uno dei quali conduce al Palazzo dei Congressi. Volentieri rieseguiamo a ritroso l'itinerario, godendoci l'incantevole paesaggio in cui siamo immersi, concedendoci il lusso di ammirare ogni cosa da angolazioni diverse e cogliendo i particolari che il percorso può offrire.



fonti:
https://www.mitiemisteri.it/luoghi-misteriosi-italia/sercol
di Armando Bellelli e William Facchinetti Kerdudo
tratto dal libro Potere e Mistero
Dai flussi energetici alla stregoneria. dai culti antichi alle testimonianze aliene nel Nord Italia
https://www.snapitaly.it/luoghi-magici-in-italia/
https://www.mitiemisteri.it/luoghi-misteriosi-italia/sercol

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