Ogni regione del Bel Paese ha creato un nome per identificare la Strega, una figura oscura sulla soglia tra l’umano ed il soprannaturale che ha saputo sapientemente mescolare religione, magia popolare e superstizione.
Ad esempio in Toscana, non esiste una vera è propria parola per indicare questa figura, la terminologia cambia molto nelle varie provincie, ma tra le varie zone quali Siena, Volterra, Lucca e Grosseto c’è una parola con la quale maggiormente si può identificare la Strega toscana: ‘Ncantatrice.
Erano donne semplici, per lo più di campagna, e spesso molto povere: conoscevano il potere delle erbe, di il potere di curare o di ferire, il potere del Sole e della Luna.
La loro saggezza era tramandata dalle persone anziane della famiglia e, tranne rarissime eccezioni, sempre per via orale. Specializzate nella creazioni di filtri, erano abili nell’instaurare armonia o discordia tre le persone. Nel salvare o nel condannare.
Numerosi sono i processi alle ‘Ncantatrici toscane, accusate di operare per il demonio e di aver causato le numerose pestilenze e carestie che squassarono in lungo e in largo l’Europa tra il XIV ed il XV secolo.
Molte sono storie andate perdute, per altre vi sono testimonianze scritte in antichi archivi e altre ancora sono divenute leggende famose narrate ai turisti.
La Leggenda della Janara, la Strega Campana da tenere lontana
Cosa significa “Sei una Janara?” Le Janare sono streghe che hanno origine nelle campagne di Benevento, ma si sono diffuse ben presto anche nella zona di Napoli.
C'è da dire che Benevento da sempre è ritenuta terra di streghe, secondo la leggenda esse si riunivano sotto un Albero di Noce, (tutt'oggi ancora esistente) in prossimità del fiume Sabato per celebrare i loro riti notturni al chiaro di Luna, in cerchio intorno ad un enorme falò, e secondo alcuni, sacrificando animali rubati nei campi dei contadini. ma andiamo per ordine.
Ecco l’etimologia del loro nome, le leggende che le caratterizzano e i rimedi che, (secondo alcuni...quelli che più le temevano) servivano per tenerle lontane.
La leggenda della Janara è una delle più famose della Campania. Questa credenza è così radicata che dai secoli passati ad oggi ci si chiede ancora se queste streghe, depositarie di antichi e occulti segreti, esistano o meno, se siano reali o frutto della fantasia per riempire i racconti popolari. Di origine beneventana, il loro mito, nato tra i contadini di questa area delle regione, si diffuse in tempi più recenti anche nella zona di Napoli. Ancora oggi, non è difficile incontrare nei piccoli paesi della provincia persone incaricate di tenere questi personaggi quanto più lontani è possibile. Il termine viene spesso scherzosamente rivolto alle quelle donne che hanno atteggiamenti acidi, mal curate nell'aspetto, e nell'igiene, oppure ci si riferisce ad esse quando non si riesce a dormire per una strana sensazione di oppressione.
Le Janare: Origine e Significato del Nome
Le Janare sono streghe nate dalla tradizione contadina beneventana, protagoniste di numerosi racconti. Si trattava di donne che possedevano la conoscenza dell'occulto e dei riti magici, come le fatture e il malocchio, capaci di rovinare la vita. Ed ancora oggi incutono timore e rispetto. Il loro nome deriva secondo alcuni da "Dianara", cioè sacerdotessa di Diana, Dea della Caccia ed associata alla Luna, A Benevento, infatti, in un’epoca di conversione al Cristianesimo, i ben pochi pagani rimasti continuarono a venerare divinità quali Ecate, e la stessa Diana. In seguito,Dopo l’arrivo dei Longobardi, molti di questi pagani si unirono al culto barbaro che adorava una dea dalle fattezze della Vipera.
Da questo mix di credenze sembra quindi generarsi la figura della Janara, capace di esercitare rituali, insieme alle sue simili, ai piedi di un antico Noce beneventano, sulle sponde del fiume Sabato. Leggenda narra, infatti, che tale posto fosse il luogo di ritrovo di ogni strega il venerdì, il sabato, e tutte le notti della luna piena. Fin quando poi, San Barbato, intollerante a tali facezie, fece tagliare l’antico Noce. Tuttavia, lo stesso albero sarebbe ricresciuto nel corso dei secoli, rimanendo sempre il luogo d’incontro delle streghe.
Mentre secondo altri invece il termine Janara pare derivi dal latino "Ianua", che significa letteralmente "porta". Secondo la tradizione, infatti, bisognava collocare davanti alla porta una scopa di miglio capovolta o un sacchetto con grani di sale, contando i quali la strega avrebbe indugiato fino all'alba, quando la luce, sua acerrima nemica, l'avrebbe costretta a fuggire via, lasciando così in pace gli abitanti di quella casa o di quella camera in particolare. Aspetto questo che approfondiremo più avanti.
La Nascita della Leggenda delle Janare
La Janara è una figura legata alla tradizione popolare contadina. Come tutti gli esseri magici può avere sia carattere negativo che positivo. Conosce i rimedi per le malattie grazie alla capacità di mettere insieme ricette a base di erbe magiche, ma può anche scatenare tempeste. In origine non avevano una valenza religiosa, ma pagana, alla stessa stregue delle fate. Tuttavia, ben presto, soprattutto nel Beneventano, si diffuse la credenza che queste streghe si riunissero sotto un albero di noce sulle sponde del fiume Sabato per venerare il demonio, di cui erano figlie, sotto forma di cane o caprone.
Aggressive e acide, andavano in giro nude ed avevano un aspetto mostruoso, simile a quello delle arpie. Si pensava anche che fossero fonte di guai e infertilità oltre che portatrici di malesseri ai danni dei bambini. Erano proprio i più piccoli le loro vittime preferite: essendo figlie del demonio, e quindi non in grado di allevare figli, secondo tale credenza si accanivano sugli infanti per pure gelosia.
Esiste anche un'altra leggenda, quella della Janara incinta. Si trattava di una contadina vissuta a metà Ottocento che praticava fatture e malocchi. Messa al rogo quando era ancora in stato interessante, la strega avrebbe deciso di tornare a vendicarsi sulle generazioni future per il male subito.
Generalmente, si racconta che la Janara fosse solita uscire di notte, introdursi furtivamente nelle stalle dei fattori per rubare una giumenta che poi cavalcava fino alle prime luci dell'alba. Spesso capitava che i cavalli da loro presi di mira morissero per il troppo sforzo, o venissero ritrovati ancora vivi ma sfiniti e con le criniere intrecciate in un modo tale che era impossibile districarle: un dispettoso segno che la Janara lasciava per rendere noto il suo passaggio. Altri resoconti riportano che addirittura le Janare riuscivano a far volare i cavalli che rubavano per mezzo di un balsamo particolare prodotto dalle loro stesse mani, e che inoltre provassero piacere nel cercare di soffocare i giovani durante il sonno siedendosi letteralmente sul loro petto.
Rimedi per scacciare la Janara
Secondo la tradizione, l'unico rimedio per tenere lontana la Janara era afferrarla per i capelli, suo punto debole, e alla domanda "ch’ tiene’ mano’?", (che hai in mano) rispondere "fierro’ e acciaij" (ferro e acciaio) cosi da impedirle di liberarsi. Se invece si cattura quando è ancora trasparente sarà lei stessa a dichiarare protezione sulla casa per sette generazioni. Ancora, per evitare che entrino in casa, come già accennato, basta porre davanti la porta un sacchetto colmo di sale, o una scopa con le setole rivolte all'insù sempre davanti alla porta di ingresso, contando le quali la strega avrebbe indugiato fino alle prime luci dell'alba.
Quante volte, entrando a casa di parenti o amici, o perfino vicino la nostra porta di casa, abbiamo trovato una piccola scopa? Usanza tramandata dai nostri nonni, sicuramente. Bene, questa stessa scopa – che deve essere rigorosamente di miglio – riusciva a distrarre la strega che, malata di aritmomania (la mania di numerare piccoli oggetti), avrebbe poi passato l’intera notte a contarne i rametti.
Così come la piccola scopa, anche diversi sacchetti di sale, messi sempre fuori la porta, avrebbero attirato l’attenzione della strega, che si sarebbe messa a contarne ogni singolo gli stessi chicco.
La Spiegazione Scientifica
Ancora oggi si dice che, quando qualcuno di notte ha una strana sensazione di oppressione al petto, sia la Janara che siedendosi sul petto non lascia respirare. La fortuna di questa credenza è da associarsi probabilmente alle paralisi del sonno o paralisi ipnagogica, o ancora paralisi notturna, che si presenta come un risveglio-(chiamato anche falso risveglio, cioè quando la mente si sveglia ma il corpo è ancora addormentato) falso risveglio che sopraggiunge nel cuore della notte e i cui sintomi sono senso di pesantezza sul torace, incapacità di respirare, di muoversi, e allucinazioni derivanti dalla forte sensazione che siano presenze di mostri. In Europa, un tempo si credeva che questo disturbo fosse causato proprio da esseri malefici, incubus, succube, demoni notturni. La visione di un essere maligno, però, è solo una proiezione della mente, anche se alcune credenze continuano a essere molto diffuse facendo leva sullo stress delle persone colpite, per questo gli antichi rimedi per scacciare via quelle oscure entità, hanno ancora oggi molti seguaci. Tutta via, questo disturbo, a quanto si dice, pare abbia una solida spiegazione scientifica che esclude ogni fattore paranormale, sia esso mitologico legato ad oscure entità demoniache, o addirittura a misteriose creature abitanti di altri mondi.
La Janara: Una leggenda quindi tutta Campana
Quante volte, nelle sere d’estate, con amici o parenti vi siete trattenuti fino a tardi raccontando storie o leggende capaci d’incutere paura? Quante volte, avendole comunque più volte ascoltate, di notte vi siete coperti col lenzuolo fino al viso? Tutti abbiamo avuto la pelle d’oca nel sentire certi racconti. E tutti, a partire forse dall’infanzia, abbiamo avuto il terrore di nominare quella parola: La Janara, una delle tante specie di strega presenti nelle leggende popolari. La Janara,creatura del folklore campano, nata da un mondo di superstizioni, che le ha dato i natali a Benevento, ma che poi l’ha fatta divenire tipica anche delle altre province della Campania, tra cui Caserta.
L’origine della Janara: La Strega Beneventana
Un termine singolare, quasi creato apposta per essere distinto dalla più generica figura della strega. La Janara, infatti, abbiamo detto che era una donna con una vasta conoscenza dell’occulto, della magia, capace di lanciare malocchi e che, a differenza della strega, era una persona insospettabile. Sempre presente alle messe domenicali, capace di condurre la vita di una brava madre di famiglia. La notte, invece, emergeva la sua vera natura sinistra, carica di odio ed invidia.
La Janara di Caserta
Ben presto, come già detto, da Benevento, la credenza popolare si estese a quasi tutte le province della Campania, ognuna delle quali con particolarità tipiche. Di base, la Janara era sempre quella donna insospettabile che conduceva una doppia vita. A Caserta la tradizione contadina era concorde col fatto che essa potesse infilarsi dappertutto: talvolta tramutandosi in vento, talvolta strisciando sotto le porte, come olio, compiendo ogni malefatta possibile al povero sventurato preso di mira. La porta (da cui, appunto ianua, janara) se ben protetta, avrebbe potuto tenerla lontana.
Altri Piccoli Rimedi
Ma cos’altro ci tramanda la tradizione folkloristica delle nostre terre? Addirittura tale entità malefica, con occhio attento e vigile, poteva essere riconosciuta e addirittura allontanata. Nell’Alto Casertano vigeva spesso l’usanza di individuare la strega fuori la chiesa, alla fine dalla Messa.
La donna che, per ultima, usciva dall’edificio era da identificare come strega. Ciò veniva attribuito al fatto che tale donna amasse rimanere più tempo degli altri in Chiesa, per un atteggiamento inconsciamente dispettoso verso le forze del bene. Chiunque avesse avuto la presunzione di aver individuato una Janara, trovandosi in sua presenza, avrebbe dovuto pronunciare la frase «Janara, oggi è Sabato»; tale dicitura avrebbe distorto la strega dal far visita alla famiglia di colui che muoveva l’accusa, ricordandole di raggiungere, essendo il sabato giorno di rituali, le altre streghe nei loro intimi punti di ritrovo.
E se invece arrivava nella camera del malcapitato?
Ma cosa succedeva se non vi fossero stati scopettini, frasi magiche o eroi del momento ad ostacolarla? Ebbene, la Janara strisciava fino al letto del malcapitato preso di mira dall’invidia e, ritornata nelle sue dimensioni umane, e come già detto si siedeva sul con tutto il suo peso sul corpo sul petto dello sfortunato, fino a soffocarlo.
Nel casertano, poi, esiste un’altra simpatica variante. In realtà la strega, giunta ai piedi del letto, non tornava nelle sue dimensioni umane bensì, tramite un incantesimo, s’infiltrava nei sogni del poveretto, creando incubi a quest’ultimo come ad esempio, essere rincorso da animali, mostri, esseri spaventosi, per poi essere malmenato e alla fine perfino ucciso. Un traumatico risveglio con qualche sorpresa: lividi nei punti esatti dove nel sogno avrebbe subito le percosse!
In ultimo segnaliamo un’altra variante, sempre casertana, della creatura. La Janara non sembra essere una entità maligna o meno, (a seconda di che ne narra le gesta) appartenente esclusivamente al genere femminile. Si narra infatti che, chiunque, di sesso maschile, nato durante la notte di Natale, fosse destinato a diventare lo Janaro. Di giorno un uomo qualunque, di notte portatore di male e sciagure, lividi o perfino morte.
Insomma, le Janare fanno gola a tutti gli affamati di occulto e folklore, figlie di superstizione, di mostri creati dall’ignoranza e dalla paura di ciò che non si conosce. Basti pensare alla sensazione di soffocamento e paralisi, ampiamente raccontata, attribuita molto spesso alla malefatta della strega: per questa, oggi, ribadiamo, esiste una valida spiegazione scientifica che sarebbe quella della paralisi ipnagogica. Ma il nostro inconscio non smetterà mai di farsi agitare dall’esistenza di una dimensione paranormale. Per cui, nel dubbio, meglio lasciare le nostre scope dietro la porta.
La storia della Strega Martuccia.
Ad Aversa ci fu una delle poche condanne per stregonerie emanate in Italia. Quello che segue è il racconto della strega Martuccia, contadina di giorno e fattucchiera di notte, condannata a morte dopo un lungo ed estenuante processo.
Inizia la caccia alle streghe!
Siamo nel XVI secolo e Caserta è da poco passata alla famiglia degli Acquaviva. Più a sud invece, ad Aversa, persiste la dominazione aragonese con vari principi, conti e signorotti a governare i centri limitrofi. Uno scenario apparentemente tranquillo, tuttavia la Penisola è in subbuglio. Il motivo? Le Guerre d’Italia, cominciate con la discesa di Carlo VIII dalla Francia, ma anche per lo scatenarsi della caccia alle streghe. Nel 1487, infatti, viene pubblicato il Malleus Maleficarum, (IL MARTELLO DELLE STREGHE), ovvero una guida utile su come riconoscere e punire chi esercitava la stregoneria. Il libro ebbe un successo senza precedenti diventando presto un best-seller, nonché simbolo della campagna della Santa Inquisizione.
In tutta Europa migliaia di persone (l’80% donne) vennero accusate di operare in combutta con il demonio. E per coloro che non riuscivano a dimostrare il contrario c’era solo uno scenario possibile: bruciare per redimersi dai peccati. In terra italica si hanno notizie di diverse condanne, quasi tutte esclusivamente al nord. In Campania, invece, se ne contano solo due: una a Benevento e una nell’aversano, ovvero quella della strega Martuccia.
Il processo di Todi che la vide accusata di Stregoneria, costituisce una "pietra angolare" nella costruzione del mito della strega e la sua collocazione nell’immaginario collettivo del tempo. Per la prima volta in un processo veniva usato il termine “strega” e Martuccia finì per diventarne l’archetipo. Arrestata perché ritenuta “donna di cattiva condotta e reputazione, pubblica incantatrice, fattucchiera, strega e maliarda”. E’ una “domina herbarum” e una “taumaturga”, cioè conosce il potere delle erbe curative e sa curare le malattie con rimedi naturali. A lei si rivolgono anche le donne che vogliono interrompere una gravidanza scomoda. All’epoca del suo processo Martuccia era, dunque, famosa e temuta. I suoi clienti non erano solo contadini e persone provenienti dai ceti umili, ma anche personaggi di elevato rango. Sottoposta a tortura Martuccia confesserà di aver volato, trasformata in gatta, a cavallo di un demonio nelle sembianze di caprone, al noce di Benevento.
Ad ispirare queste affermazioni, apparse per la prima volta in atti processuali per stregoneria, fu proprio San Bernardino da Siena (espressamente citato nella carte processuali), il quale aveva predicato proprio in quelle terre di Todi, Montefalco e Spoleto. Fu Bernardino ad introdurre il termine "strega" e sempre Bernardino ad aver parlato per la prima volta di Benevento come città di riunioni notturne delle streghe. L’inquisitore dopo aver rivolto le varie domande di rito alla accusata, riuscì però ad estorcerle una confessione solo tramite tortura, una volta ottenuta, la giovane fu arsa viva sul rogo, tra quelle fiamme purificatrici che (secondo i prelati) servivano a salvare e redimere l’anima della sventurata.
Sebbene la storia di Martuccia di Francesco, questo il suo nome, negli anni abbia subito varie modifiche, è comunque giunta a noi.
In verità non si ha nemmeno la certezza del nome. Sappiamo solo che era una contadina di Lusciano, piccolo comune dell’agro aversano. In quegli anni l’intera zona soffriva di una profonda carestia. I campi non rendevano e la fame attanagliava la popolazione. E dato che le disgrazie non vengono mai sole, gli abitanti combattevano anche contro una violenta epidemia di peste. Tutti soffrivano, tranne Martuccia. Il suo raccolto era sempre florido, le sue terre sempre ricche di frutta, ortaggi e quant’altro. Il cibo abbondava in ogni stagione, nonostante le difficoltà del periodo. E questo fece insospettire i vicini. Non solo per la fertilità delle sue campagne, ma anche per il continuo ritrovamento di animali morti privati della testa.
La cosa infatti generò non poche ombre, soprattutto perché si trattava delle bestie degli stessi vicini. E quando questi lo fecero presente alle autorità, si iniziò ad indagare. Con il famoso Malleus Maleficarum si scoprì che tale rito serviva per aumentare la fertilità delle proprie terre, a scapito di quelle del vicinato. Ecco allora due risposte al prezzo di una, con la conclusione di trovarsi dinanzi ad una strega. Trascinata per i capelli per le vie del centro fino al cospetto del vescovo di Aversa, la strega Martuccia negò ogni accusa, profanando addirittura il crocifisso portatole per la redenzione. Non certo una mossa saggia.
La Condanna
Il lungo atto di accusa che la condannò al rogo cita per la prima volta l’esistenza dell’unguento malefico che permetteva alle streghe di volare e la formula necessaria: “dopo essersi unta di grasso di avvoltoio, sangue di nottola e sangue di bambini lattanti, Martuccia, questa era l’accusa che le veniva mossa, invocava il demonio Lucibello, che le appariva in forma di caprone, la prendeva in groppa e la portava al noce di Benevento, dove erano radunate moltissime streghe e demoni capitanati da Lucifero."
Dopo il processo, che la vide quindi accusata di decine di capi d’imputazione, tutti riconducibili ad un’unica ragione d’accusa: la stregoneria, ella venne rinchiusa nel castello di Casaluce in attesa della definitiva condanna. Durante quei giorni più volte le fu chiesto di abiurare, ma la risposta era sempre la stessa: non sono una strega. Le sue terre erano floride per cause a lei sconosciute, mentre le violenze contro gli animali erano figlie di antichi dissapori con il vicinato. Insomma, nulla che avesse a che fare con la magia.
Purtroppo per lei tale spiegazione non soddisfò il vescovo che decise per la punizione peggiore: il rogo. Sul piazzale antistante al castello si consumò la condanna. Le fiamme avvolsero il corpo della strega Martuccia, uccidendola dopo atroci sofferenze. Non appena il fuoco esaurì la sua furia, non rimase che una nube di fumo nero a levarsi nel cielo. Dei resti della donna, tuttavia, non vi era traccia. Non un cumulo di cenere, non un frammento dei suoi gioielli, ossa o vestiti. Assolutamente nulla. Per il vescovo e la popolazione fu motivo di sollievo. Una strega in meno dissero. Ma da quel giorno, nei pressi del castello e nelle campagne vicine, non crebbe più niente, nemmeno un filo d’erba. E per alcuni questa non fu altro che la vendetta postuma della strega.
Maciare le Streghe di Avellino
Nella provincia di Avellino poi, al confine con quello Beneventano le streghe prendevano il nome di "Maciare", che erano come le "Janare" ma piu dispettose e più adatte a quelle malocchiature che portavano a situazioni negative, in particolar modo in amore. Ma tra le donne anziane, ce n’erano alcune chiamate “Neutralizzatrici “ che riuscivano a neutralizzare quegli effetti malefici che provenivano dalle Maciare appunto.
Era uso comune quando si rompevano fidanzamenti o matrimoni dire è stata "La Maciara".
Sarminia, la leggenda della strega di Benevento
Si racconta che agli inizi del '900 in una zona di campagna abbastanza impervia, lì dove quegli alberi dominavano, vi era un rustico, una casa di campagna dove vivevano due sorelline Anna ed Alessia, la loro vita era scandita da quei ritmi caratteristici di quelle zone contadine, allo studio ed all'amore per quegli animali della loro stalla tra cui uno splendido pony.
Le sorelline erano abbastanza grandi da conoscere chi erano le Janare, ne erano affascinate, a tal punto che quel fascino superava la forte paura, più volte avevano chiesto alla madre ed ai contadini delle terre attigue di avere spiegazioni su quelle credenze, su quelle streghe, su cosa facessero, sulle loro malvagità ed abitudini, quindi avevano appreso una buona parte di conoscenza di quelle credenze popolari che talvolta si catalizzano in quella realtà diventando un tutt'uno.
Un giorno il loro pony scomparve dalla stalla e la disperazione delle due sorelline fu tanta, quel pony era diventato ormai per loro un compagno di giochi ed a nulla valsero le ricerche che furono fatte anche tra i compaesani in quelle campagne. Allora decisero, pensando che fosse stato rapito dalle streghe, di recarsi la notte seguente all'albero di noce, all'insaputa dei genitori che erano tranquilli sapendo che le ragazzine dormivano nella loro stanzetta.
Cosi tra boschi e campagne la sera seguente s'incamminarono con due torce per farsi luce e per raggiungere il posto maledetto. Si recarono quindi alla foce di quel fiume ovvero, in prossimità di quell'albero di noce li dove la leggenda narra che avvenivano i riti “malefici” delle Janare, i famosi Sabba delle Streghe.
Il cammino fu notevole ma la perseveranza delle ragazzine fu premiata e quando incominciarono a vedere dei fuochi e sentire delle urla disumane capirono di essere vicine.
Giunsero quindi a poche decine di metri da quel Sabba di malvagità in atto, e nel mentre erano intente, nascoste tra gli alberi, a cercare dove fosse il loro pony, furono rapite da Sarminia.
Sarminia era quella più anziana, il suo aspetto incuteva timore finanche da lontano, quei capelli lunghissimi sporchi e impettinabili, quegli occhi che parevano due fiamme accese e quello sguardo cattivo di malvagità fatte, e da fare.
Furono così imprigionate in una gabbia, nel mentre le altre streghe decidevano cosa fare di quelle prede, di sicuro sarebbero state sacrificate la notte seguente in uno di quei sabba infernali sotto quell'albero di noce.
All'alba, le streghe, però, si dovevano ritirare lontano da quella luce, infatti le streghe non potevano vivere alla luce diurna, uscivano solo di notte.
Quando il giorno dopo iniziò a calare l'oscurità, le ragazzine prigioniere erano ben consapevoli di quanto, da lì a poco, sarebbe avvenuto. Con molta difficoltà ed astuzia riuscirono ad aprire quella gabbia che le imprigionava con una forcina che portavano sempre nei loro capelli lunghi, e finalmente riuscirono a scappare.
Quando le Janare si accorsero che le due ragazzine erano fuggite, le loro urla furono terrificanti, si oscurarono le stelle nel cielo che sovrastava quelle campagne, i lupi iniziarono ad ululare, il cielo si trasformò all'improvviso in un covo di lampi, anche gli uccelli notturni presero il volo da quei luoghi.
Era l'ira delle Janare, l'ira per la fuga delle due prigioniere. Ira perfettamente udibili anche quando le Streghe erano ormai lontane
unguento unguento
siam le streghe di benevento
supra acqua e supra vento e supra omne maltempo,
vi verremo a prendere
domani notte verremo alla vostra abitazione
Si sentì così rimbombare in quell'oscurità e tra quegli alberi che parevano terrificati anche loro, in quelle foglie e quei rami immobili nonostante il forte vento.
Appena arrivarono a casa, le sorelline distrutte, si tuffarono nel letto e senza dormire per la paura iniziarono a studiare un piano diabolico. Prima dell'imbrunire del nuovo giorno, quando era stato profetizzato che sarebbero arrivate le Janare a riprenderle, decisero di sistemare fuori all'uscio di casa due scope in miglio e due sacchetti grossi di sale a granuli piccoli.
Al mattino, finalmente col sole, senza aver dormito tutta la notte per la paura, uscirono di casa e trovarono davanti alla porta d'ingresso una quantità notevole di cenere ancora fumante.
Le streghe avevano perso moltissimo tempo a contare i fili di quelle scope ed i granuli di quei sacchetti di sale messi lì per ingannarle, e senza accorgersi del sorgere di quella luce del giorno mortale per loro, finirono incenerite.
Si racconta ancora che da quella cenere seminata in quella terra vennero fuori dieci arbusti fortemente spinosi, mai tolti che mai più sono morti e dopo centinaia di anni sono ancora presenti.
Il nome di Benevento venne fatto anche nel processo del 1456, a carico di Mariana di San Sisto, conclusosi con la condanna alla morte sul rogo. Ella viene accusata di andare con una sua compagna “ad surchiandum pueros et una nocte dicti mensi Iulii dicta Mariana et eius sotia in facie et corpore ipsarum se unserunt cum certis unguentis diabolicis et incantatis per dictam mulierem sotiam dicte Mariane, inter alia dicendo: “Unguento, menace a la noce de Menavento, sopra l’acqua e sopra al vento” et de nocte accesserunt ad nuces et arbores nucum ubi sole et sine lumine tripudiabant”. Anche in questo processo si citano l’unguento, il noce, i sabba.
Benevento e la leggenda del Noce sono presenti anche in altri due processi tenutisi innanzi al Santo Uffizio di Roma, nel corso del XVI secolo, che ebbero grande eco.
Il primo processo era a carico di Bellezza Orsini, accusata di malefici e venefici. Ella era esperta di erbe con le quali fabbricava medicine. Un giovane da lei curato non riuscì a salvarsi ed i parenti accusarono Bellezza d'averlo deliberatamente stregato e ucciso. Si aggiunsero alla denuncia della famiglia molte testimonianze contro la Orsini. Bellezza fu condotta nel carcere di Fiano e sottoposta a interrogatori con tortura, durante i quali finì per confessare ogni cosa che gli veniva detta, fra cui: “Andammo al Noce di Benevento e lì facemmo tutto quello che volemmo col peccato rinunciammo alla fede e pigliammo per signore e patrone il diavolo, e facemmo quel che volle lui e non altro” – “E andammo al Noce dI Benevento dove ci radunammo tutte insieme, e lì facemmo una gran festa e giochi, e ci prendemmo piaceri grandi, dopodiché il diavolo prese quattro fronde da quel Noce e così ritornammo a casa, per far male a qualcuno” Anch’ella riporta la formula per volare. Bellezza Orsini disperata e sfinita dalla tortura, si suiciderà in carcere, tagliandosi la gola con un chiodo, sfuggendo al rogo.
Nel 1486 D.C. i monaci domenicani Jacob Sprenger e Heinirich Kramer come già detto, scrissero il Malleus Maleficarum, il martello delle streghe, una sorta di manuale dell’inquisizione interamente dedicato alla repressione della stregoneria. Un testo pieno di affermazioni assurde, insensate, intriso di superstizione, misoginia e violenza. La tortura per estorcere confessioni è ammessa e largamente praticata. Possiamo dire che fu il laboratorio mondiale dei metodi di tortura e dei sistemi per estorcere confessioni.
Si stima che, nel corso dei secoli la Santa Inquisizione abbia mandato al rogo più di otto milioni donne, dopo averle torturate e seviziate nei modi più atroci, in nome di Dio e della salvezza delle anime.
Si usò strumentalmente la superstizione e la paura per uccidere delle povere sventurate, che solo in rarissimi casi avevano commesso crimini, e la cui unica colpa era, invece, di possedere conoscenze in tema di medicina, erboristeria, astrologia o, forse, di essere solo colte, libere, intelligenti. Si additavano come streghe le levatrici, le erboriste, le indovine, cioè qualunque tipo di donna che sfuggisse ai canoni biblici della donna incolta, inferiore e sottomessa all'uomo.
In definitiva, la caccia alle streghe è stata una caccia alle donne, una repressione della loro libertà, che ha prodotto secoli di morte e indicibile sofferenza per cui la Chiesa cattolica non ha mai chiesto, e non chiede, perdono. La donna associata al peccato, alla lussuria, la donna tentatrice delle virtù del monaco che per questo la bandisce come demonio.
Del resto il termine “Strega” deriva da STRIX, un mitologico uccello notturno con un seno simile a quello delle donne colmo di veleno, che serviva ad uccidere i bambini e succhiarne il sangue. Una figura mitologica metà animale metà donna, tra l’arpia ed il vampiro. Strix oggi è il nome scientifico della famiglia degli allocchi, grandi e voraci rapaci notturni.
Menarda, Rosa, Alcina, Boiarda, Lilith, Martuccia,Violante non erano altro che le allucinazioni di monaci e predicatori ossessionati dalle donne e dal peccato. Bernardino da Siena può bene essere considerato colui che ha fatto assurgere Benevento ed il Sannio a patria di tutte le streghe, utilizzando il suo antico ed indissolubile legame con rituali antichissimi, ben più antichi della cristianità stessa.
La lotta tra il “presunto bene” ed il “presunto male” è continuata fino ai giorni nostri e prosegue ancora, ma sotto altre forme più subdole.
Ad onta di tutto ciò, Benevento è stata sempre avvolta in un alone di mistero e di leggenda. Nell'immaginario collettivo era, ed è, il covo delle streghe, il luogo ove cresceva, maestoso e terrificante, un grande noce …IL NOCE, quello intorno al quale si riunivano le più grandi e potenti streghe provenienti da tutta Europa.
FONTI-
Dott. Paolo Scalise, ricercatore e studioso beneventano; Dott.ssa Laura Miriello, scrittrice, medievalista, studiosa di dottrine esoteriche; Dott. Claudio Gargano, studioso e regista; il gruppo beneventano del CISP
dal sito-https://www.esserealtrove.it/ (dove è disponibile un ulteriore approfondimento su Benevento,e i suoi luoghi che appartengono alla leggenda delle streghe)
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