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Re Artù:La verità oltre la leggenda

il Sabba delle streghe

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mercoledì 6 febbraio 2019

Napoli Esoterica (2a parte)

NAPOLI.... 


Una città da sempre in bilico,bella e maledetta,oscura e dannata.
Una città travolgente,che avvolge e lascia estasiati,Napoli,bordata di fascino e mistero
Napoli,città avvolta da mille leggende nate tra i vicoli e i quartieri,
storie popolari,
racconti della mezzanotte.
Spirite e spiritelli,
santi,'cape 'e morte e marunelle.
Cuorno e curniciello,
diavulo,diavulilli
e munaciello.

Tradizioni ancestrali,
culti antichi da sempre legati al tessuto sociale della città
dei suoi abitanti,
delle sue strade,
dei suoi mille vicoli all'ombra del Vesuvio.
 Napoli una città sospesa tra verità,e leggenda,
tra miracolo...la "Grazia",
la fede e la scienza.

Napoli legata alle sue memorie
alle sue storie tra i panni stesi e scantinati,
uno attaccato all'altro,
palazzo dopo palazzo,
dove gli spazzi sono stretti,e le voci bisbigliano silenziose.

Napoli...addore 'e mare,
Napoli e il suo dolore,
Napoli e la sua gente,
croce e delizia,
gioia e maledizione.
Napoli...cchiù bella nun ce ne stanno.


Continua il viaggio nella Napoli esoterica,nella Napoli delle leggende,e dei miti che si perdono tra realtà e fantasia,tra strade e vicoli,tra luci e ombre.


‘A Bella 'Mbriana: leggenda d’amore per i vicoli di Napoli


Fin dall’ antichità Napoli veniva considerata la culla dei misteri del mediterraneo. Segreti e storie insolite accompagnano da sempre la vita dei Napoletani. Dalle Storie di Fantasmi come il famosissimo “Munaciello” bellissima Maria D’ Avalos morta tragicamente per una fugace storia d’amore. Misteri come la liquefazione del Sangue di San Gennaro e i messaggi celati dietro la facciata del Gesù Nuovo sono le storie che vogliamo raccontarvi; senza però dimenticare gli Enigmi più seducenti di una città dai mille volti come la storia di Dracula, di Raimondo di Sangro o meglio conosciuto come il Principe di San Severo che con i suoi artefatti alchemici ha fatto impazzire mezzo mondo.
Palazzi, vicoli sotterranei, piazze e tanti altri luoghi sono da sempre il perfetto scenario per culti religiosi, dal “il Tesoro di San Gennaro” alla famosa “mano de D10S” che solo l’ironia e il cuore di un Napoletano potevano creare. Talismani magici, amuleti, coltelli insanguinati, orologi a guardia di segreti questo e molto altro ancora è ciò che narreremo 

La tradizione racconta di una bellissima principessa, tanto bella quanto infelice, e del suo amore mai vissuto. Un amore così forte ed assoluto che, una volta perduto, aveva causato in lei un vuoto assoluto. Tanto smisurata era stata la disperazione che la ragione non aveva retto; così la fanciulla era uscita di senno e la sua pazzia l’aveva condotta a vagare per i vicoli della città, come un’ombra, alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che mai trovò.
Il re, suo padre, disperato, non sapendo cosa fare, per proteggerla, decise di ricompensare anonimamente coloro che aprivano la loro casa alla sua povera figlia, impietositi dalla sua infelicità.
Nasce così la leggenda di una misteriosa figura femminile, che dimora nelle nostre abitazioni e le protegge. Per il popolo napoletano, lei è lo Spirito della casa e assicura benessere e salute a chi ci abita. E’ difficile vederla o incontrarla. Lei appare solo per qualche istante e se un occhio umano la intravede, lei si trasforma in un geco o si nasconde tra le tende smosse dal vento.

Si può anche non credere alle leggende, ma salutare la Signora quando si entra in casa è consigliato. Un semplice “Buonasera Bella Mbriana” può esserci d’aiuto.
Dopotutto, come diceva il grande Peppino De Filippo: “Non è vero… ma ci credo”


I fantasmi di Castel Sant’Elmo: qui uno dei luoghi più cruenti di Napoli


Napoli – La tradizione vuole che i fantasmi pullulino nei luoghi in cui nel corso della storia ci sia stata molta sofferenza e morte, come se le anime dei defunti rimanessero legate al luogo in cui la vita venne strappata in modo violento. Castel Sant’Elmo è probabilmente uno dei luoghi più “cruenti” di Napoli e non stupisce che secondo le leggende popolari sia infestato da numerose entità.
Costruito sulla collina del Vomero per ordine di Roberto il Saggio ed ultimato sotto il regno di Giovanna I d’Angiò, il castello divenne presto teatro di numerosi e violenti assedi: quando francesi e spagnoli combatterono per la conquista del Regno di Napoli, la fortezza era un punto militare nevralgico data la posizione rialzata da cui si poteva controllare l’intera città. Secondo una leggenda, i nemici che assaltavano il castello venivano giustiziati nei sotterranei e lasciati a marcire lì senza sepoltura.

Fonti storiche, invece, affermano che una notte di tempesta un fulmine si abbatté sul deposito di munizioni della fortezza e l’esplosione che ne scaturì uccise sul colpo più di 150 soldati che stanziavano nelle mura. Oltre a questi spiacevoli eventi è la stessa forma del castello a suscitare occulti interessi. Le mura esterne presentano sei “punte”, i bastioni posti alle estremità: ovviamente la scelta è stata fatta per garantire maggior difendibilità da ogni versante, ma in molti vedono un collegamento con la stella a sei punte onnipresente in ogni simbologia esoterica.

Il risultato di tutto questo? Una folla di fantasmi e presenze avvertite o addirittura avvistate da turisti e custodi. Proprio molti di questi ultimi hanno affermato che di notte dalle mura del castello si alzano grida fortissime, come se le anime dei morti senza riposo continuassero a disperarsi per la mancata sepoltura. Molto probabilmente, però, si tratta del sibilare del vento attraverso le innumerevoli grotte e cavità sotto la struttura.




Di meno facile comprensione è un’altra entità. In molti affermano di aver avvistato un fantasma in bianco aggirarsi nelle sale interne o lungo la pedamentina esterna attraversando mura e porte. Fortunatamente questa presenza non è ostile, ma burlona e giocherellona: tende infatti a comparire improvvisamente spaventando i malcapitati per poi scomparire ridendo a crepapelle.

L’ultima leggenda, la più fantasiosa, è legata alla “Sala delle Maschere”. Qui sono conservate maschere storiche indossate dai più illustri protagonisti del teatro napoletano come Eduardo, Peppino De Filippo e Totò. In molti sostengono che certe notti i fantasmi di questi grandi attori decidano di tornare ad indossare le amate maschere aggirandosi nella stanza con esse.


La leggenda dello splendido Palazzo Donn’Anna a Posillipo


Un’antica e misteriosa leggenda aleggia intorno al Palazzo Donn’Anna, edificio imponente nel cuore di Posillipo ,costruito alla fine del XV secolo su un edificio già esistente, “La Serena“, di proprietà del marchese Dragonetto Bonifacio.
Si narra che nel quartiere di Santa Lucia, ai tempi della dinastia degli Angioini viveva Beppe, un pescatore molto apprezzato per la sua ars amatoria e la sua estrema passionalità nelle vesti di amante. La Regina Giovanna II, desiderosa di “sperimentare” le doti tanto famose del pescatore, fece costruire nei pressi della collina di Posillipo una stupenda villa, in un luogo solitario, lontano da occhi indiscreti.
La chiamò “Villa delle Sirene” e trascorse tre giorni e tre notti di intensa passione con Beppe. All’interno della villa furono progettati dei “trabocchetti” per non permettere a coloro che mettevano piede di uscire. Purtroppo chi entrava era inevitabilmente vittima di un triste destino. Beppe non poteva che essere la prima vittima: la Regina non poteva permettere che, uscito dalla villa, raccontasse in giro quello che era successo compromettendo la sua reputazione. Fu così che il pavimento si aprì sotto i suoi piedi e l’uomo sprofondò in mare.


Appena apprese la notizia, la fidanzata di Beppe, Stella, iniziò a tormentarsi per la sua scomparsa e maledì la Regina con tutte le sue forze, tant’è che tutte le sue maledizioni si avverarono. Anche dopo la morte della Regina Giovanna II, la maledizione non si interruppe: continuò a colpire incessantemente tutti i proprietari aristocratici della villa.
Nel ‘600 la villa fu ereditata da Anna Carafa, foglia di Antonio Carafa e moglie di Don Ramiro Guzman Duca di Medina Las Torres e Viceré di Napoli, una donna superba e falsa. Per far fronte alla maledizione fece demolire l’intera villa per costruire un altro spettacolare palazzo, chiamato “Palazzo Donn’Anna”.
In realtà quella non fu affatto una buona soluzione al problema: Stella e Beppe, dagli abissi del mare, volevano vendicarsi perché non tolleravano che i potenti potessero approfittare delle persone, senza tener conto dei loro sentimenti ed esercitare il loro potere come fossero dei burattini.



Per inaugurare il Palazzo, i cui lavori di edificazione non erano ancora terminati, fu organizzata una grande festa, a cui presero parte gli esponenti più ricchi della città. Il Palazzo in tutto il suo splendore.
Come da tradizione, fu organizzato uno spettacolo teatrale, i cui attori erano gli ospiti stessi: Donna Mercede de Las Torras, nipote del Viceré, seducente spagnola, interpretava una schiava innamorata del suo padrone, interpretato a sua volta dal Principe Gaetano di Casapesenna, che non ricambiava il sentimento. Durante un duello la schiava salvò il Principe mettendo a rischio la propria vita, così si abbracciarono con grande passione. Tutti si accorsero che però i due ospiti non stavano solo fingendo, tant’è che Donn’Anna riproverò duramente Donna Mercede, la quale l’accusò di essere l’amante di Gaetano di Casapesenna. Donn’Anna rimase interdetta, dopo aver appreso che qualcuno era a conoscenza del suo segreto. Pochi giorni dopo non si ebbero più tracce di Donna Mercede, alcuni dicevano che fosse caduta nel trabocchetto di Villa delle Sirene altri che avesse preso i voti. Gaetano fece di tutto per cercarla ma non la trovò mai.
Intanto Donn’Anna fu abbandonata dal marito, richiamato in Spagna. Solo uno dei figli sopravvisse e lei morì a 40 anni nella sua casa di Portici, dopo essere stata colpita dai pidocchi.


Il soldato fantasma che terrorizza gli inquilini di un palazzo di Corso Garibaldi

Immaginate di camminare in Corso Garibaldi, a Napoli, ed all’improvviso veder penzolare da una delle finestre di un normale condominio, la testa di uomo. E’ inquietante vero? Eppure è quello che succede e che testimoniano, da secoli ormai, tutte le persone che abitano ed hanno abitato il palazzo in questione. E così di tanto in tanto tra le scale condominiali si materializza una testa senza corpo che va su e giù per i gradini, magari mentre uno degli inquilini sta salendo, spaventandoli a morte ed in base a diverse testimonianze, il palazzo sarebbe oggetto di queste frequenti apparizioni del fantasma di un impiccato.


Il condominio, che si trova nei pressi di Porta Nolana, in origine era una caserma, infatti il fantasma apparterrebbe ad un soldato brutalmente impiccato probabilmente dal popolo napoletano in una delle tante rivolte succedutesi nel corso della lunga dominazione spagnola (1503 – 1707). Ed inoltre c’è chi afferma di sentire, spesso passi di soldato rimbombare nel palazzo.
Nei secoli Napoli ha costruito tanti palazzi nobiliari che conservano all’interno un’affascinante storia, corredata da numerosi miti e leggende popolari legate ai loro abitanti. Si può dire con certezza che quasi ogni palazzo importante abbia un proprio racconto misterioso e il proprio fantasma in dotazione.


Il fantasma del Castello di Giusso a Vico Equense. Scopriamo chi è…

Secondo le molte testimonianze di abitanti locali, il Castello Giusso di Vico Equense sarebbe abitato da un fantasma. L’anima della regina Giovanna I d’Angiò vagherebbe inquieta tra le stanze del castello.
La regina è più nota con il nome di Giovanna la Pazza, la quale fu un’amante insaziabile, ma come una vedova nera, dopo un’appassionata notte d’amore, ella uccideva tutti i suoi amanti, avvelenandoli o tendendo loro delle trappole mortali nelle sale o nei corridoi di palazzo Giusso, appunto.


Ma un giorno, per scherzo del destino, fu lei a cadere in uno dei suoi tranelli preparato per il suo ultimo amante, lasciandoci la pelle e l’anima, visto che d’allora il suo spettro continua a vagare inquieto per le sale. Secondo voci popolari, soprattutto nel mese di agosto, si odono salire dalla cappella del castello di Giusso voci lamentose ed urla degli sventurati amanti.
Così questo maestoso ed elegante Castello voluto da Carlo II d’Angiò, per difendere il borgo di Vico Equense, oggi viene utilizzato per cerimonie, meeting ed esposizioni artistiche, ma al suo interno cela ancora tanti segreti e misteri, e chissà se girando in una delle sale non ci si possa imbattere nella regina Giovanna.


Villa Ebe, il luogo stregato di un genio incompreso


Villa Ebe: il gioiello dimenticato

Lungo il fianco occidentale del Monte Echia,in cima alle rampe di Pizzofalcone,sorge Villa Ebe,un edificio conosciuto anche come Castello Di Pizzofalcone. La splendida costruzione di stile vittoriano-neogotico fu progettata dal architetto napoletano,genio incompreso Lamont Young.
Edificata nel 1922,Young la trasformò nella sua dimora,e la moglie Ebe Cazzani,vi abitò fino al 1976,anche dopo che il marito si suicidò nel 1929,per cause mai del tutto chiarite.Dal 1997,il castello di Pizzofalcone è diventato di proprietà del Comune di Napoli.


Villa Ebe venne concepita su due scompartimenti ben distinti: da un lato, infatti, abbiamo proprio Villa Ebe, residenza personale di Lamont Young, mentre dall'’altro si trovava la residenza della famiglia Astarita. Purtroppo, proprio quest’ultima sezione venne completamente distrutta da un bombardamento degli angloamericani durante la seconda guerra mondiale. Rimasta solo Villa Ebe, dopo la morte dell’architetto cambiò nome diverse volte, fino a prendere appunto quello della moglie sicula, Ebe, che continuò a viverci fino al 1970.



Quando poi la villa passò nelle mani del comune di Napoli,il progetto di base era quello di trasformare la struttura in un museo dello stile architettonico Liberty.Purtroppo però,da quel momento in avanti su villa Ebe calò come una sorta di oscura maledizione,il progetto di trasformarla in un museo non ebbe seguito,e la villa ben presto fu abbandonata a se stessa,tanto da diventare dimora di senza tetto.



Fino a che non ci fu l'intervento dell'artista Pasquale Della Monaco,che interessato alle sorti della villa,e con l'intenzione di riportarla al suo antico splendore,riuscì a farsi nominare custode non ufficiale ,riuscendo così ad ottenere le autorizzazioni  per svolgere al suo interno alcune attività di natura artistica, tra le quali spiccano le cerimonie di premiazione del ‘Premio Utopia Lamont Young‘, dedicato a tutte quelle persone che tentano di realizzare i propri sogni e le proprie speranze.

Nonostante ciò nel 99 alcune voci parlavano di un possibile abbattimento dell'edificio in favore di un parcheggio,fortunatamente grazie ancora a della monaco che riuscì ad ottenere per villa ebe il vincolo culturale,l'abbattimento venne scongiurato, non solo,ma furono approvati anche alcuni interventi di restauro

Ma tre giorni prima dell’inizio dei lavori,siamo nel 2000, un incendio doloso distrusse gli interni preziosi della Villa. le fiamme devastarono le stanze,così come la meravigliosa scala elicoidale in legno. Nemmeno il progetto dell’UNESCO di trasformare Villa Ebe nella sede della Casa del Turista e di valorizzare dal punto di vista culturale il Castello, riuscì a modificare la sua condizione. Nonostante i diversi fondi ottenuti dall’U.E., Villa Ebe resta tutt’oggi la casa di senzatetto e tossicodipendenti.

 Ciò che rimane oggi di Villa Ebe è la torre quadrata con le sue finestre ad arco, i contrafforti ottagonali in pietra vesuviana e una sinistra leggenda,secondo la quale,nelle fredde e buie notti d'inverno un'ombra scura si aggirerebbe sulla terrazza della villa,un'anima inquieta e silenziosa,che molti sostengono appartenere proprio a Lamont young,irritato per il modo in cui la sua città ha trattato una delle sue più ammirevoli creazioni.

Certo tutto ciò mostra quel lato comunemente diffuso di Napoli: il suo carattere irrispettoso nei confronti di un patrimonio artistico che, al pari di altre città del mondo, le rende pienamente giustizia. Nello sfacelo di Villa Ebe, all’occhio dell’osservatore curioso risalta un particolare, nascosto tra la vegetazione che ha preso il sopravvento. Un’iscrizione che avvolge nel mistero la Villa, una sorta di riscatto per l’incuria in cui la mano dell’uomo l’ha irrimediabilmente condannata.
I simboli misteriosi della Villa sul Monte di Dio


Il Monte Echia, detto Pizzofalcone o Monte di Dio, è l’antico promontorio divino di Napoli, sotto al quale si racconta avvenissero riti orgiastici dedicati a Priapo. Il lato occidentale di questa altura, sospesa tra mito e storia, ospita Villa Ebe, il Castello in stile gotico di Pizzofalcone. Tra le fronde si intravede un letto di foglie secche, che conduce all’ingresso principale: un portone ormai corroso dal tempo, sopra il quale campeggia un’iscrizione:

Osservando più da vicino gli amanti di simbologia esoterica non potranno fare a meno di notare i particolari con i quali la scritta è ornata: un sole d’oro prolunga i suoi raggi ondulati verso una luna, altrettanto dorata, che si adagia sulle onde del mare, quasi come se fosse da esso cullata.


Adorato come divinità dalla maggior parte dei popoli antichi, il Sole simboleggia la saggezza, l’amore e l’intelletto. Il Sole rappresenta è la parte maschile dell’esistenza, simbolo dell’origine e della ragione, che illumina le menti più bui. Con i suoi raggi abbraccia la Luna, simbolo dell’oscurità e della mutabilità delle forme. La luna è espressione del femminile, la Madre che con il suo ciclo regola le attività della vita. Nella simbologia massonica l’accostamento Sole – Luna simboleggia la dialettica degli opposti, l’alternanza e l’equilibrio del giorno e della notte, della luce e dell’oscurità, del bianco e del nero, del maschile e del femminile.



Il mare rappresenta la vita, ma allo stesso tempo potrebbe essere anche un richiamo alla città di Napoli. In tutte le cosmogonie antiche dall’acqua ha origine il mondo. L’acqua è simbolo di purezza e di rinascita spirituale liberando l’anima dalle impurità, così come ricorda il battesimo cristiano, emblema della purificazione dell’anima. Inoltre, molte iniziazioni misteriche sono legate al mare.I simboli Sole – Luna – Mare sembrano esplicitare i tre appellativi che Lamont Young attribuisce a se stesso: Utopista, Inventore, Ingegnere. È ben noto il legame esistente tra la Massoneria e il socialismo utopico. Azzardando una ipotesi, Utopista potrebbe indicare l’appartenenza dell’architetto napoletano alla Massoneria, così come l’Inventore e l’Ingegnere, ossia l’ “architetto” del Tempio di Salomone. Inoltre, la torre quadrata con i contrafforti ottagonali in pietra lavica e con le finestre ad arco poste su tre lati della torre, presenterebbe i tratti “tipici” di una architettura massonica.
Villa Ebe una sede della Massoneria? Non lo sapremo mai. Il segreto si perde nel vento, sospeso in uno spazio senza tempo…

Chi era Lamont Young? 
Un genio partenopeo, figlio di Napoli nato da madre indiana e padre scozzese, da qui il nome non italiano. Nacque nel 1851 e fu uno dei più importanti architetti e urbanisti, soprattutto per la città napoletana. Molti dei suoi progetti, all’epoca, non vennero presi in considerazione e approvati, ma nell’ultima decade molti addetti ai lavori cominciano a rivalutarne l’impatto stilistico e la creatività: bisogna sottolineare, infatti, che Lamont Young, avendo ricevuto una mescolanza di culture, era in grado di saggiare Napoli con occhi diversi; si potrebbe quasi dire lontani e allo stesso tempo intimi. Il suo desiderio era quello di trasformarla in un polo turistico come Parigi o Londra, ma con la caratteristica di riuscire a mischiare l’urbano e il rurale in una commistione di generi di nuova concezione. Il Castello di Aselmayer, tra Corso Vittorio Emanuele e Piazza Amedeo ne è un esempio.


Le anime inquiete di Palazzo Fuga.


Fuga o Real Albergo dei Poveri, è il più evidente complesso monumentale di rilievo del settecento in Europa, ideato e costruito dall’architetto Ferdinando Fuga, per volere del re Carlo III di Borbone che volle fare del palazzo, un’istituzione caritatevole di prim’ordine per dare asilo ai poveri.Si narra di storie di fantasmi e presenze misteriose.

Palazzo Fuga è l’immensa struttura che domina da oltre trecento anni, Piazza Carlo III, l’ultimo baluardo dello sviluppo urbanistico e architettonico voluto dal re di Napoli e di Sicilia, Carlo III di Borbone di cui, quest’anno festeggiamo il 300° anniversario della sua nascita. E’ inserito fra Via Foria accanto l’Orto Botanico di Napoli e si prolunga su Via Bernardo Tanucci, per diversi metri. Oggi possiamo ammirare l’imponente facciata in parte restaurata tinteggiata di rosa e bianco, lo scalone monumentale che porta al salone d’ingresso e il maestoso frontone che svetta con l’orologio, dove anche il tempo sembra arrestarsi.


Nel contesto storico sociale dell’Età dei Lumi, Napoli seppe porsi come una grande Capitale illuminista, vicina a Parigi, in quanto non solo assorbì la corrente di pensiero ma diede vita a nuovi fermenti sociali che si esprimevano dal campo architettonico a quello filosofico, divenendo la città stessa, il fulcro rivoluzionario del pensiero moderno, come lo fu, al suo tempo nel Rinascimento.
Sotto questa spinta di rinnovamento, il re Carlo III, su suggerimento di Padre Rocco, monaco domenicano napoletano la cui missione era fornire assistenza ai poveri, progetta l’idea di creare una struttura che potesse dare asilo e soccorso ai poveri del regno, suscitata dal fatto che la città era densamente popolata e altrettanto povera; dietro al progetto dell’Albergo dei Poveri si tentava di nascondere (da cui Serraglio o Reclusorio, quindi carcere) la misera, la parte più indigente di Napoli, i cui mezzi di sostegno a più bisognosi non erano sufficiente a soddisfare un’intera popolazione.

La costruzione dell’Albergo dei Poveri ebbe inizio nel 1751 per mano dell’architetto Ferdinando Fuga ma i lavori non videro mai la luce, anzi furono incompleti e abbandonati.
Il progetto iniziale così come fu proposto, prevedeva un’opera mastodontica con dimensioni che sfioravano gli oltre 100.000 metri quadri di superficie, con 600 metri di lunghezza e 135 metri di larghezza; ma poi ci si dovette accontentare di dimensioni più modeste anche per far fronte alle richieste di denaro sempre più contingenti.
Lo scopo principale che doveva assolvere l’Albergo dei Poveri era quello di fornire accoglienza ed assistenza delle persone disagiate, divenendo un modello di solidarietà nel centro urbano.
Nei secoli successivi fino agli anni ’40 del Novecento, ha mantenuto fede al suo obiettivo, cioè quello di ospitare i poveri, gli infermi, gli storpi, gli orfani e le fasce più disagiate della città.


Anche a causa della lentezza dei lavori, tra una pausa e l’altra, l’edificio non poté mai accogliere un sufficiente numero di poveri così come fu nell’idea nascente e anzi molte stanze furono cedute per altri scopi umanitari mantenendo i principi iniziali nel fornire assistenza e di rieducazione minorile, altri progetti sorsero per scopi scientifici e culturali, tra cui una Scuola di Musica, la Scuola per Sordomuti, divenne centro rieducazione per minorenni, poi si progettò un cinema, sorsero delle officine meccaniche, a seguito una palestra, fino ad avere l’Archivio di Stato civile e un distaccamento dei Vigili del fuoco.
L’edificio di proprietà del Comune di Napoli, è stato abbandonato nel post terremoto dell’ ”80 e recuperato attraverso un progetto del 1999; negli ultimi anni ospita mostre ed eventi a carattere Nazionale come lo è stato il «Napoli Teatro Festival Italia» «Days of the Dinosaur» «Body Worlds» mentre la proposta più avvincente, che potrebbe diventare un volano artistico e turistico per la città, è quella lanciata dalla pagina Facebook “Arte e Artisti a Napoli” in collaborazione con l’Associazione RAM (Rinascita Artistica del Mezzogiorno) creata da Dario Marco Lepore e Paolo La Motta, la cui aspirazione è quella di fare dell’ex Albergo dei Poveri, il “Louvre napoletano” il più grande Museo d’Europa e del mondo. Una proposta tutt’ora al vaglio e che ha riscosso numerose adesioni a favore.


I fantasmi e le leggende di Palazzo Fuga

Secondo uno studio italiano dei palazzi storici più infestati di Napoli, svetta al 5° posto il Real Albergo dei Poveri, di cui si raccontano storie legate a misteriose presenze e fenomeni paranormali. Fino agli anni ”50 questo luogo incuteva paura, non solo per lo stato di abbandono in cui versava l’edificio, tra vetri rotti, spifferi e porte cigolanti ma per il semplice fatto che era una zona a rischio criminalità notturna come ci viene raccontato dalla metà dell’Ottocento. Ci si poteva imbattere in un guappo come in un fantasma, e l’incontro non era di certo piacevole.

Un’altra spiegazione logica era da attribuire al crollo dell’ala destra del palazzo a causa del terremoto del 1980 che procurò la morte di alcune anziane donne e delle persone che le accudivano; forse le loro anime, da allora non si danno pace.
Il fenomeno che più spaventa a detta di tutti sono i bagliori che si intravedono dalle finestre, rumori, cigolii, lamenti, passi svelti, voci rauche provenienti dall’interno che tentano di comunicare con i vivi. Spifferi di vento che facevano sollevare polveri e oggetti disfatti. Per non parlare delle strane figure evanescenti che vagano di stanza in stanza senza tregua.
La spiegazione, secondo molti è dovuta al caso delle anime inquiete, cioè a tutti coloro che sono tragicamente morti a causa di malattie, per le scarse condizioni igieniche o chi invece ha subito maltrattamenti; come allora questi chiedono giustizia.
Secondo una testimonianza che vive a ridosso del palazzo, sostiene che è possibile scorgere la presenza di queste anime solitarie, attraverso una finestra che dà su una stanza del terzo piano. Fantasmi senza nome che tentano di riposare in pace da oltre trecento anni, vissuti ai tempi di Carlo III di Borbone.


Villa Lebano: La dimora degli spiriti

Villa Lebano, un tempo era la dimora di Giustiniano Lebano e di sua moglie Virginia, al suo interno i coniugi praticavano sedute spiritiche e pratiche magiche.

Villa Lebano si trova a Trecase circondata da un alto muro, con un cancello sormontato dallo stemma ducale della nobile casata degli Lustra, varcata la soglia del cancello si trova un giardino enorme con Pini e Cipressi, avvicinandosi alla villa si avverte subito lo stato di degrado e di abbandono nel quale versa. Fuori alla villa si trova una piccola edicola votiva dove un tempo era posta la statua della Dea Flora, rubata anni fa. Basta alzare la testa verso le finestre per ricordarci a chi era appartenuta in passato la villa al Conte Giustiniano Lebano di Lustra, infatti si può notare il sigillo di Salomone a sei punte comunemente usato nelle pratiche di magia.

La Villa fu costruita nel 1862 per volere di Giustiniano, al suo interno i coniugi Lebano praticavano con altri medium ed appassionati di esoteria, sedute spiritiche e pratiche di magia.
Al piano terra si trovano tre stanze che venivano usate come biblioteca, e che prendevano il nome in base al colore delle pareti rossa, blu e bianca. La biblioteca conteneva più di 5000 volumi, e molti manoscritti antichissimi e rari, ora naturalmente la biblioteca è vuota, dal 1985 i testi sono stati messi al sicuro, molti dei quali sono conservati presso una nota famiglia. Nelle cantine Giustiniano e Virginia erano soliti ricevere gli ospiti, non solo per praticare la magia ma anche per trattare argomenti storici e preziosi.

Si racconta che un viandante un giorno si trovo a passare fuori alla villa, e senza sapere a chi appartenessero quelle terre, stese innocentemente la mano per cogliere il melograno sporgente dal muro di cinta, si ritrovò con il braccio paralizzato, con la mano tesa ancora semiaperta verso il frutto neanche toccato. Ci volle molto tempo e molta persuasione per convincere Giustiniano ad annullare quel maleficio.
Dal 1990 la villa è completamente abbandonata e in vendita.
Il vecchio custode raccontava che la villa era infestata da numerosi fantasmi, tra cui quello di Virgina Bocchini moglie di Giustiniano, sembrerebbe che chiunque veda il suo fantasma nel giro di un mese morirebbe.
Anni fa all’ interno della villa venne girato Vitriol, un film basato anche sulla storia di Lebano, il regista Francesco Afro De Falco racconta un episodio strano accaduto poco prima di girare le riprese all’interno della casa:
<<La villa era praticamente inaccessibile, a causa dell´incuria e della vegetazione. Ma proprio quando si stava per abbandonare l´idea di utilizzare quella location, un temporale cambiò ogni cosa. Un fulmine colpì in pieno una delle enormi palme del giardino scatenando un incendio che nell’arco di qualche ora distrusse e incenerì parte di quella giungla impenetrabile, permettendo pochi giorni dopo di recarsi nella villa dell’esoterista per ultimare le riprese». 



Castel Capuano e il fantasma degli avvocati



Ogni 19 Aprile, all’interno del Castel Capuano secondo la leggenda apparirebbe il fantasma di Giuditta Guastamacchia, soprannominata da tutti “il fantasma degli avvocati”. A questa donna è legata una vicenda molto particolare, scopriamola insieme.
Castel Capuano, fu costruito nel 1140 per volere del re Guglielmo I detto il Malo, come residenza reale dei sovrani normanni. Successivamente con la costruzione del Maschio Angioino come residenza reale, Castel Capuano divenne alloggio per i funzionari del regno e personaggi illustri. Nel 1540 Castel Capuano diventò sede del palazzo di giustizia, grazie al vice rè Don Pedro de Toledo, che riunì al suo interno tutte le corti di giustizia della città.
Per adattarlo alla nuova funzione il castello, subì notevoli modifiche, i sotterranei furono destinati a carceri con stanze da tortura. Nel corso dei vari anni Castel Capuano ha subito numerosi restauri, tant’è che della costruzione originale ormai non conserva nulla.
A Castel Capuano, è legata una vicenda molto particolare, che vede come protagonista Giuditta Guastamacchia, che era una bellissima e giovane donna, madre di un figlio e vedova, il marito fu giustiziato alla forca per furto.


Il padre di Giuditta non avendo soldi decise di chiuderla nel convento, ed è proprio in quel convento che per dieci anni Giuditta intraprese una tresca amorosa con un prete Don Stefano d’ Aniello.
Una volta uscita dal convento la relazione tra i due amanti non termino, anzi il prete si spaccio per suo zio, tale bugia consentì a Giuditta di andare a vivere a casa sua. Onde evitare che la relazione divenisse di pubblico dominio Don Stefano, la diede in sposa a suo nipote pugliese di appena sedici anni. I due si sposarono ma solo su carta il matrimonio non era valido, ma poco importava, per loro era solo una copertura, i due amanti continuarono a vedersi. Il giovane marito di Giuditta, stanco e indispettito della situazione, decise di ritornare in Puglia con l’intenzione di denunciare i due, per il raggiro che aveva subito. Giuditta e Don Stefano non potevano permettersi di essere scoperti, lo scandalo sarebbe stato troppo grande, l’unica soluzione era uccidere il giovane marito.
Giuditta aveva bisogno dell’aiuto del padre, ma naturalmente non poteva confessare il vero motivo per il quale voleva il marito morto, e decise di raccontargli una bugia, il marito l’aveva malmenata più volte e derubata. Il padre acconsenti ad aiutare la figlia, anzi gli procurò anche altri due complici un chirurgo e un barbiere. Il giorno seguente, mandarono una lettera al giovane facendogli credere che la moglie voleva riappacificarsi con lui, e una volta che il ragazzo ritorno a Napoli lo strangolarono. Il prete fu l’unico ad avere del rincrescimento, e se ne usci dalla casa.
Una volta che il giovane fu ucciso, Giuditta decise che il cadavere non doveva essere riconosciuto, se qualcuno si fosse accorto della vera identità dell’uomo, sarebbe stata sicuramente una della sospettate e non poteva permetterselo.
Con l’aiuto di uno dei complici il chirurgo, fecero il corpo a pezzi, e diede ad ognuno una parte del cadavere, che andava macellata e dispersa nel bosco. Uno dei complici il barbiere, fu fermato dalla guardia reale per un controllo di routine, aperto il sacco ritrovarono il macabro bottino.
Dopo un lungo interrogatorio confesso il crimine, e i nomi dei complici. Giuditta, il padre, Don Stefano e il chirurgo intuendo che qualcosa era andato storto fuggirono, ma la fuga durò poco, infatti furono fermati a Capodichino. Ci fu un breve processo svolto a Castel Capuano, e tutti furono condannati alla forca, tranne il prete perchè uscì dalla casa prima che il nipote venne ucciso, infatti fu visto a casa dei vicini.
Il 19 aprile 1800 alle ore 20 in Piazza delle Pigne ( oggi chiamata Piazza Cavour) vennero tutti e tre impiccati, la sorte più terribile tocco a Giuditta perché una volta impiccata, gli amputarono le mani. La sera stessa della sua morte, la testa e le mani di Giuditta Guastamacchia vennero messe in mostra per diversi giorni sul graticciato della Vicaria. Da quel giorno, ogni 19 Aprile lo spettro inquieto di Giuditta soprannominata da tutti “il fantasma degli avvocati” si aggira per i corridoi e le aule dell’ex tribunale, annunciando la sua presenza con un soffio gelido, lamenti e urla strazianti, e talvolta rovistando tra le vecchie carte del tribunale, che si trovano ancora all’interno del castello.

La tragica storia di Tirinella Capece



La tragica storia di Tirinella e di Alvise e del loro amore che li condusse alla morte.


«Come il mare il mio pensiero ondeggia
e il mio cuore mi fa presto piegare …
O sonno vesuviano, o notte di ghiaccio stellata
il mio seno brucia lontano dall’emozione ingannevole e folle …»

Questi bellissimi versi appartengono a una poesia di Caterina Capece, soprannominata Tirinella, figlia del cavaliere Marino Capece, che all’età di quindici anni sposò Pietro di Capua un cinquantenne vedovo e padre di quattro figli già adulti.
La loro dimora, fu un sontuoso palazzo che sorgeva a Porta Capuana.
Tirinella era una donna colta, con la passione per la letteratura e per le poesie.
Nel 1421 Alvise Dandolo un giovane veneziano commerciante di tessuti, giunse a Napoli perché voleva estendere gli affari di famiglia, e in un tardo pomeriggio nella Chiesa di San Giovanni a Carbonara durante una messa vespertina conobbe Tirinella, i due giovani si innamorarono e tra di loro scoppiò la passione. Iniziarono a incontrarsi di nascosto, approfittando spesso dell’assenza del marito di Tirinella per consumare la loro passione. La notte del 4 Gennaio 1424, mentre Pietro era a corte, Tirinella insieme ai quattro figliastri erano riuniti intorno al camino per leggere Tristano e Lancillotto.
Alvise aveva un appuntamento con la sua amata nella sua dimora, entrò in casa di nascosto e mentre si dirigeva verso la camera da letto, una volta giunto nel soggiorno dove erano tutti radunati, il figliastro più piccolo scorse un ombra furtiva nel corridoio, avvisò i fratelli che qualcuno si stava recando nella stanza della matrigna. Tirinella, si congedò con la scusa di un leggero mal di testa per raggiungere il suo amante, ma i quattro figliastri entrarono impetuosamente nella stanza della matrigna, uccidendo i due amanti e gettando i loro corpi nel gelido fango, presso le mura di San Giovanni a Carbonara.
Lo stemma della famiglia Capece è raffigurato sulla facciata del complesso di San Domenico Maggiore dove, secondo la leggenda, i fantasmi dei due innamorati vagono ancora in cerca di pace.


I Fantasmi della Pedamentina


La Certosa di San Martino, viene collegata al centro storico della città dalla Pedamentina, una discesa formata da 414 antichi scalini, un luogo magico tra sogno, realtà e fantasmi.


Questa scalinata fu costruita tra il 500 e il 600, dagli architetti Francesco De Vito e Tino di Camaino, per facilitare la costruzione della Certosa di San Martino e trasportare materiali pesanti, in seguito, venne usata come dispositivo di difesa per il Castel Sant’ Elmo. Inizialmente la Pedamentina non presentava gli scalini, assunse la sua forma attuale solo in seguito. Oggi è diventata patrimonio dell’Unesco, grazie allo spettacolare panorama che si può ammirare percorrendola.

La Pedamentina è un luogo magico tra sogno, realtà e fantasmi.


Una bambina che abitava lungo la Pedamentina, aveva una amica di giochi immaginaria, i genitori sentivano spesso la bimba nella sua cameretta ridere e scherzare da sola, non si preoccupavano, si sa i bambini hanno molta fantasia, le cose cambiarono quando in un antico manoscritto rinvenuto all’interno dell’abitazione, scoprirono che la bambina con la quale la figlia giocava era morta circa cento anni prima.
Legata alla scalinata, ci sono altre due leggende sicuramente più conosciute, salendo o scendendo la Pedamentina, è possibile imbattersi in un fantasma burlone vestito di bianco, egli si divertirebbe a spaventare i passanti entrando e uscendo dal muro vicino alla scalinata, oppure gridando e ridendo.
Alla fine della prima rampa, è possibile notare un vecchio cancello in cui le guardie reali uccidevano i nemici. Una volta morti, i loro corpi venivano lasciati nei sotterranei per essere divorati dai topi. Secondo alcune testimonianze, di notte passando dinanzi al cancello sarebbero ancora udibili i lamenti e i pianti delle vittime.

Palazzo Como: Il Palazzo dei Munacielli.



Il Palazzo Como è situato al centro di Napoli. La leggenda popolare vuole che all’interno del palazzo ci siano gli spiriti, ed è per questo motivo che viene soprannominato “il Palazzo dei Munacielli”

Il Palazzo Como è situato al centro di Napoli.
Il mercante napoletano Angelo Como, nel quattrocento fece costruire la propria abitazione, in stile rinascimentale, affidando il progetto a tre architetti non napoletani.
In seguito al declino della dinastia aragonese, anche la famiglia Como cadde in rovina, gli eredi non trovarono un accordo su chi dovesse abitare il palazzo, quindi decisero di affittarlo. Venne ceduto alla Chiesa di San Severo al Pendino, dove venne utilizzato come chiostro dell’omonima chiesa. Nel 1567 Tommaso Salernitano, prese possesso del palazzo, utilizzandolo fino al 1587, anno in cui la proprietà venne venduta a Marcello de Bottis che abbandono il palazzo dopo pochi mesi per ragioni che tutt’ora rimangono sconosciuti, lasciandolo alla Congregazione di Santa Caterina da Siena. Successivamente, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi, alcuni ambienti del palazzo vennero usati dall’ austriaco Antonio Mennel, che fece diventare un ala del palazzo una fabbrica per birra, mentre altri locali dello stabile furono adibiti ad archivio del Regno delle Due Sicilie, fino a che non venne affidato agli ordini monastici che vennero espulsi. Nel 1882 il palazzo rischio di essere demolito, ma grazie a molti intellettuali che si opposero alla demolizione, il palazzo fu solo arretrato di una ventina di metri, dove vennero rifatti gli interni. Dopo la ristrutturazione il palazzo divenne la sede della raccolta privata delle opere di Gaetano Filangieri cosi nacque l’attuale Museo civico Gaetano Filangieri.
La leggenda popolare, vuole che la famiglia De Bottis abbia lasciato il palazzo dopo pochi mesi in seguito ad avvistamenti di alcuni spiritelli maligni, che sempre secondo la leggenda, vagano ancora oggi all’interno delle stanze del palazzo spaventando i visitatori, ed è proprio per questo che dal popolo napoletano il palazzo venne soprannominato “il Palazzo dei Munacielli”



I Fantasmi Della Torre Degli Incurabili



Lungo la strada che da Napoli conduce a Giugliano, è impossibile non notare una grossa torre con la base ottagonale a forma di tronco di piramide, conosciuta da tutti come “Torre degli Incurabili”.

Lungo la strada che da Napoli conduce a Giugliano, è impossibile non notare una grossa torre con la base ottagonale a forma di tronco di piramide, conosciuta da tutti come “Torre degli Incurabili”.
La curiosa forma, fa pensare che in origine era un mulino a vento, infatti si può ancora scorgere in alto, un perno che probabilmente serviva a reggere le 4 pale.
Alcuni documenti del 1700, testimoniano la Torre come lazzaretto per i malati di peste e altre gravi malattie, oltre che come luogo dove rinchiudevano tutte le persone che erano considerate pazze.

Su questo luogo ci sono misteri e leggende, alcune persone sostengono che alcuni elementi come l’ottagono della pianta, o il tronco di piramide dello stadio superiore, sono identificabili come parti di un linguaggio non solo architettonico, ma anche di tipo esoterico, legato ai numeri ed alla loro funzione in chiave simbolica. Alcune leggende metropolitane, narrano inoltre di apparizioni di fantasmi. La testimonianza più famosa, è quella dei un cacciatore.
Una notte, un cacciatore percorreva la strada che passa di fronte alla Torre, quando si accorse di essere seguito, inizialmente pensò ad un uomo ma con stupore si accorse che dietro di lui si trovava una donna. L’anomalo inseguimento avvenne per circa dieci minuti, arrivato nei pressi della Torre, il cacciatore udì che il rumore dei passi s’interruppe bruscamente, e al suo posto si sentì il suono del battito di ali come quello di un enorme uccello che si librava in volo. L’uomo spaventato si girò e si accorse che non c’era ne la donna e ne l’animale.
Secondo gli anziani del luogo, l’animale è lo spirito di una donna che tempo fa abitava nel mulino, costretta a vagare in eterno in cerca di un amante, altre persone invece credono che sia lo spirito del marito che vagherebbe invece per impedirebbe a ogni uomo una possibile tresca con la moglie.


Il Fantasma Del Palazzo Reale Di Napoli
Secondo una antica leggenda, di notte nelle stanze vuote e buie del Palazzo Reale, si aggirerebbe il fantasma del Principe Carlo III di Borbone.



Il Palazzo Reale di Napoli è situato a Piazza del Plebiscito, fu costruito verso i primi anni del 600, per volere del vice rè spagnolo Fernando Ruiz De Castro, che ritenne opportuno costruire una reggia ampia per poter ospitare la corte e i sovrani nel corso dei loro viaggi fuori città. L’architetto incaricato nella costruzione fu Domenico Fontana, che purtroppo morì senza riuscire a vedere la sua opera compiuta, il progetto fu successivamente affidato al figlio Giulio Cesare Fontana.
Nel 1837 il palazzo fu danneggiato da un incendio e si rese necessario un complesso restauro, curato da Gaetano Genovese, lavori che furono terminati nel 1858 e che diedero l’aspetto definitivo del palazzo. Numerosi furono i Re ospitati all’interno del palazzo.



Il protagonista di questa leggenda, è Carlo III di Borbone il principe di Capua, fratello del re di Napoli Ferdinando II di Napoli.
Nell’inverno del 1953 il principe Carlo si invaghì di una bellissima turista irlandese Penelope Smyth, la giovane donna si trovava in città con la sorella e una amica.
Anche se di rango diverso, Carlo iniziò una corte serrata alla bella Penelope.
Dopo pochi mesi, Carlo chiese il permesso al fratello Ferdinando di sposare la sua amata, permesso che gli venne rifiutato, tra i due fratelli scoppiò un violento litigio.
Agli inizi di Gennaio, Carlo decise di fuggire con la sua amata.
Ferdinando venne a conoscenza dei piani del fratello, e decise di recapitargli una lettera, dove chiedeva al fratello di rimanere a Napoli, ma Carlo innamorato decise di varcare i confini della città.
Ferdinando infuriato, firmò un decreto dove proibiva a tutti i membri della casa reale di uscire dal regno senza il suo permesso, come pena la perdita dell’appannaggio, che dopo sei mesi di permanenza all’estero, sarebbe stato devoluto alla Corona, e inoltre nessun matrimonio sarebbe stato valido senza il consenso del re, perchè spettava al sovrano preservare la purezza del trono.
Il decreto, non fermò Carlo che sposò Penelope in Scozia. Ferdinando non riuscì mai a perdonare Carlo, si rifiutò di riconoscere il matrimonio e fece porre sotto sequestro tutte le proprietà di Carlo, che si ritrovò in esilio e in breve anche senza denaro. I due innamorati ebbero due figli, che con la morte dei genitori non ebbero mai alcun riconoscimento.
Secondo una leggenda di notte nelle stanze vuote e buie del Palazzo Reale si aggirerebbe il fantasma del Principe Carlo III in cerca di giustizia e averi, che in vita per seguire il suo cuore gli vennero negati.


La Villa Infestata Di Posillipo
La villa infestata di Posillipo, molti anni fa fu lo scenario di un terribile delitto. All’interno della residenza secondo la leggenda, si aggirerebbero tre fantasmi, protagonisti di un omicidio.


A Posillipo, si trova una bellissima chiesa barocca quella di Santa Maria del Faro, di fronte a questa chiesa c’è una villa circondata da alberi, ormai abbandonata e cadente. Nei primi del 900, il proprietario della palazzina venne trovato morto nel salone della sua abitazione, sul corpo i segni di numerose coltellate. Rimosso il cadavere, le cameriere cercarono di pulire il sangue, ma per quanto potessero strofinare le macchie di sangue non sparivano, terrorizzate scapparono dalla villa.
Dopo alcuni giorni, si scoprì che il proprietario aveva cercato di sedurre la giovane sposa del suo cameriere, che accecato dalla rabbia decise di uccidere l’uomo.
I due giovani sposini, il giorno dopo l’omicidio sparirono senza lasciare traccia di se. Da quel giorno, la villa è stata abbandonata a se stessa, ma gli abitanti del quartiere giurano che di notte il giardino ritorni a vivere, i fantasmi del giovane proprietario e dei due sposini si aggirino per gli alberi gridano, bestemmiando inseguendosi tra quello che rimane delle pareti della villa.

Il Palazzo Della Porta:
Strani avvenimenti a Via Toledo.



Il Palazzo Della Porta è situato a Via Toledo, al suo interno secondo la leggenda si aggirerebbe lo spirito di Gianbattista, e non solo…sempre secondo la leggenda, chiunque riesca a vedere il suo fantasma assisterebbe anche a uno strano evento…

Uno dei palazzi più antichi di Napoli è il Palazzo Della Porta, situato a Via Toledo.
Nel 1546 i monaci di Monteoliveto, cedettero il terreno a Francesco Della Porta, completati i lavori di costruzione del palazzo, passò in eredità al figlio Gianbattista Della Porta che era un letterario e filosofo, alchimista e scienziato. Giambattista, già dall’ età di 15 anni studiava magia naturale, e pubblicò vari libri che lo fecero diventare famoso in tutta Europa, ma con cui fu anche accusato di stregoneria, egli fondò anche l’ Accademia dei Segreti a Napoli.
Il Palazzo, fu di proprietà dei Della Porta per vari anni, fino a quando Francesco Maria De Costanzo, discendente di Cinzia Della Porta, figlia di Giambattista, lasciò i suoi averi alla cappella del Tesoro di San Gennaro, della quale faceva parte essendone uno dei deputati.
Lo stemma dei Della Porta, è ancora conservato sul portale dello stabile.
Il fantasma di Gianbattista, lo si può trovare ancora all’interno del palazzo, in abito scuro, e lo sguardo scrutatore, anzi c’è di più.. sembra che chi vede il suo fantasma, all’improvviso con la mente viene proiettato al giorno del funerale dello stesso Gianbattista, i testimoni dichiarano di vedere un corteo formato da nobili e frati incappucciati muniti di fiaccole, che intonano litanie funebri, e lui… Gianbattista, portato a spalla dai suoi fidati uomini, dalla sua dimora di Via Toledo fino alla chiesa di San Lorenzo Maggiore dove fu svolto il suo funerale. Un funerale, che sembra non avere mai fine, un funerale che giorno per giorno, sembra rivivere nella mente di chi ha la fortuna o la sfortuna di vedere il fantasma di Gianbattista Della Porta.

I Fantasmi Del Castello Di Baia


Il Castello Aragonese di Baia, venne costruito per difendere il golfo di Pozzuoli, dalle incursioni saracene alla fine del XV secolo. Ancora oggi, alcune persone del luogo ritengono che il castello sia infestato.
Il Castello Aragonese di Baia, venne costruito per difendere il golfo di Pozzuoli dalle incursioni saracene alla fine del XV secolo.  Il Re di Francia Carlo VIII minacciava di invadere il Regno, per ordine di Re Alfonso II d’Aragona , fu quindi avviato un programma di fortificazioni difensive del golfo di Napoli, a protezione della costa flegrea e della capitale del Regno. Il castello di Baia, fu edificato sul promontorio, e venne munito di mura, fossati e ponti levatoi, che lo rendevano pressoché inespugnabile, impedendo l’avvicinamento delle flotte nemiche e lo sbarco di truppe che avrebbero potuto assalire Napoli con una manovra di aggiramento.
L’eruzione del 29 settembre 1538 provocò gravi danni al castello, il vice rè don Pedro Alvarez de Toledo, marchese di Villafranca lo fece ricostruire ed ampliare. Dopo l’unità d’italia, per il castello comincio un periodo di lenta decadenza e di abbandono.
La fortezza, passò nel 1887 sotto l’amministrazione di vari ministeri: prima quello della Marina, poi degli Interni, ed infine della Difesa. Nel 1927 lo Stato ne dispose la concessione al Reale orfanotrofio militare. Per questa nuova destinazione d’uso, negli anni 1927-1930 vi furono eseguiti numerosi lavori di ristrutturazione che, inevitabilmente comportarono 
aggiunte ed alterazioni. Durante la seconda guerra mondiale, il castello fu utilizzato come carcere militare, e come soggiorno per prigionieri di guerra. L’orfanotrofio militare, rimase fino al 1975, anno in cui l’ente fu sciolto. Passato quindi alla Regione Campania, in occasione del terremoto dell’Irpinia del 1980, il castello venne occupato parzialmente per alcuni anni da famiglie terremotate.
Nel 1984 è stato definitivamente consegnato alla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta, perché diventasse sede del Museo archeologico dei Campi Flegrei.
Non c’è da stupirsi se ancora oggi nei sotterranei del castello di Baia secondo alcune persone, è possibile udire urla strazianti, e lamenti, in alcuni casi anche il classico rumore di catene, di quelle persone che all’interno della fortezza sono morte, ma che hanno lasciato l’anima vagare in questo stupendo luogo.

Il Maschio Angioino: la leggenda del coccodrillo e il mistero che continua



Vari luoghi della città di Napoli sono legati al mistero. Uno fra tutti il Castel Nuovo, detto anche Maschio Angioino. Storico castello medievale, il “Castrum Novum”, come lo chiamavano in origine i sovrani di casa d’Angiò, cela una delle più celebri leggende napoletane. Il Maschio Angioino ha nei sotterranei due prigioni: la “prigione della congiura dei Baroni” e la “fossa del miglio” che inizialmente era usata come deposito del grano. Ma proprio quest’ultima, con il passare del tempo fu usata per rinchiudere i prigionieri, tra gli altri anche il filosofo Tommaso Campanella. E da allora prese il nome di “fossa del coccodrillo”. Benedetto Croce racconta, in “Storie e leggende napoletane”, l’origine di questa denominazione:

“Era in quel castello una fossa sottoposta al livello del mare, oscura, umida, nella quale si usava cacciare i prigionieri che si volevano più rigidamente castigare: quando a un tratto si cominciò a notare con stupore che, di là, i prigionieri sparivano. Fuggivano? Come mai? Disposta una più stretta vigilanza allorché vi fu cacciato dentro un nuovo ospite, un giorno si vide, inatteso e terrifico spettacolo, da un buco celato della fossa introdursi un mostro, un coccodrillo, che con le fauci afferrava per le gambe il prigioniero, e se lo trascinava in mare per trangugiarlo”.
testo “Storie e leggende napoletane”

Non poté resistere al fascino del mistero del coccodrillo neanche Alexandre Dumas che nella “Storia dei Borbone di Napoli” scrisse: “Da questa bocca dell’abisso, dice la lugubre leggenda, uscendo dal vasto mare, appariva un tempo, l’immondo rettile, che ha dato il suo nome a quella fossa”.



Ma da dove proveniva questo coccodrillo? La leggenda narra che fu portato a Napoli dall’Egitto, dalla regina Giovanna II che sposò nel 1415 Giacomo di Borbone. Tutti la ricordano grazie all’imponente mausoleo di San Giovanni a Carbonara che ella stessa fece costruire. Antonio Caracciolo, detto Carafa, la descrive come “Bella e seducente, vana e mutevole, ma buona e di buon senso, se ne viveva in letizia di facili amori”. E proprio questi “facili amori” doveva nascondere nelle segrete di Castel Nuovo dando in pasto al coccodrillo, tramite una botola, tutti i suoi amanti. Secondo alcuni, anche le profondità del Castel dell’Ovo erano piene di fosse, con punte di spada e lame di rasoi, nelle quali la regina faceva precipitare i suoi amanti.

Un’altra leggenda narra invece che a inventare la fossa del coccodrillo fu Ferrante d’Aragona, re di Napoli dal 1458 al 1494. Il sovrano gettò lì, dopo averli attirati in un tranello, numerosi Baroni protagonisti d’una congiura ai suoi danni. Secondo Croce fu proprio re Ferrante a disfarsi del coccodrillo. Decise di ucciderlo gettandogli in pasto una coscia di cavallo. Morto soffocato, l’animale fu pescato, impagliato e appeso alla porta d’ingresso.


Nel 2004 si è scritto nuovamente della leggenda del coccodrillo dopo che è stato trovato uno scheletro di animale durante gli scavi della metropolitana di piazza Municipio. Per i più appassionati del mito, quello ritrovato sarebbe davvero lo scheletro del famelico coccodrillo voluto dal re e dalla regina napoletani, per i più scettici si tratterebbe delle ossa di un cetaceo. Tutt’oggi il mistero sembra irrisolto.

La storia di Sebeto e Magara, amanti che si stringono in mare oltre la morte



Sebeto e Megara, storia di un amore rinnovatosi nel mare di Napoli.





Sempre numerose ed affascinanti sono le storie fantastiche e le tante leggende che hanno visto la luce nel nostro Mezzogiorno ed in particolar modo a Napoli. Tra i vari racconti molti hanno qualcosa a che fare con l’acqua, elemento sinonimo di vita, che caratterizza in maniera significativa il capoluogo campano.
La città, infatti, grazie alla sua posizione geografica si stringe in un abbraccio eterno e bellissimo col mare. Numerosi sono poi i corsi d’acqua che l’attraversano. Anche questo racconto, tratto dalla versione di Matilde Serao del 1881 è, in qualche modo, collegato a questo importante elemento naturale.
Sebeto era un ricco signore che abitava in una lussuosa residenza in una campagna vicino Napoli. Questi aveva preso in moglie Megara della quale era molto innamorato. Si dice che per lei avrebbe rinunciato, senza battere ciglio, a tutte le sue ricchezze ed alla propria fortuna. Anche la donna contraccambiava teneramente il sentimento di Sebeto. La loro unione era felice, un vero e proprio idillio.

Ignazio Sclopis – Castel dell’Ovo, 1764

Un triste giorno Megara decise di voler navigare il Golfo di Napoli a bordo di una feluca. Raggiunse presto, insieme all’equipaggio, la riva Platamonia – da cui Chiatamone – dove il mare è sempre molto mosso. I marinai, nonostante le condizioni metereologiche avverse, insistettero per continuare la navigazione controvento. Ad un certo punto la feluca si capovolse, Megara cadde in mare ed annegò. A finire però fu solo la sua vita da essere umana, a causa di un prodigio, infatti, la donna si trasformò in uno scoglio: quello chiamato di Megaride, dove oggi sorge Castel dell’Ovo.
Appresa la notizia Sebeto cadde vittima di una disperazione profonda e si sciolse in un pianto lunghissimo ed inconsolabile. A causa del copioso numero di lacrime che egli versò, si disfece in un corso d’acqua, divenendo proprio fiume che correva verso il mare. Quello stesso mare dove Megara era morta e dove adesso sussisteva come scoglio. Malgrado questa situazione drammatica, ci fu un risvolto romantico ed inaspettato nella storia dei due coniugi che riuscirono a restare, in qualche modo, in contatto, non più come esseri umani ma come elementi naturali. La donna era lo scoglio, la meta che Sebeto agognava di raggiungere.
L’uomo invece, da marito devoto, divenne il fiume che correva e si riversava in quel mare, dove Megara spirò, nel tentativo perpetuo di avvicinarsi e di stare nuovamente con sua moglie. Quel mare, da teatro di lutto e tragedia, divenne l’unico luogo dov’era possibile abbracciarsi ancora.


Il Bosco Di Capodimonte.




Il Bosco di Capodimonte è uno dei più famosi parchi d’Italia, un luogo bellissimo e misterioso, scenario di tantissime leggende, si conoscono in particolare tre leggende.
Capodimonte: i fantasmi delle regine vagano nella Reggia e nel Bosco



Situato a pochi passi dal centro di Napoli, il Bosco di Capodimonte è una fra le location naturali, immerse nel verde, preferite dai cittadini napoletani per trascorrere qualche ora lontano dallo smog e dal caos quotidiano.
Il Bosco di capodimontre fu realizzato nel 1734 per volere di Carlo III  Di Borbone,inizialmente concepito e usato da quest'ultimo come riserva di caccia,a partire dal 1742, il parco, sotto la guida di Ferdinando Sanfelice fu restaurato e impreziosito di chiese, fabbriche e abitazioni contadine.
Con l’ascesa al trono di Ferdinando I, fu trasformato, grazie anche all’opera di riqualificazione del botanico Friedrich Dehnhardt, nell’attuale giardino all’inglese che oggi circonda la Reggia.



Il Bosco di Capodimonte, in realtà,è anche un luogo che conserva,che porta dentro di se' svariate leggende e storie di fantasmi che ben si sposano con l’animo oscuro e misterioso della città partenopea, infatti si racconta che sia frequentato dagli spiriti di ben due regine dell’800: 
Maria Carolina d’Asburgo e Maria Cristina di Borbone.


La leggenda narra che lo spirito di Maria Carolina d’Asburgo, moglie del Re di Napoli Ferdinando IV e sorella della regina di Francia Maria Antonietta frequenti ancora le sale del Palazzo Reale.
A quei tempi, i ricevimenti ed i gran balli a Corte erano molto frequenti oltre ad essere molto amati dalla regina stessa al punto che, ancor oggi, da ben 202 anni, si dice che avvengano sfarzose feste tutte le notti nel Museo di Capodimonte.
Nei saloni regali si racconta che appaiano luci e figure misteriose che danzano sulle note di antichi strumenti musicali e che poi scompaiano come per magia alle prime luci dell’alba.




L’altra leggenda ha per protagonista un’altra nobile, Maria Cristina di Savoia, la prima moglie del Re Ferdinando II di Borbone. Intorno la Regina dall’estrema bellezza, aleggiano ben due leggende in netto contrasto fra loro ma entrambe legate ad un luogo caro a Maria Cristina, una grotta ubicata nel Bosco di Capodimonte che successivamente prese il suo nome...Grotta Di Maria Cristina.


Secondo alcuni la Regina era molta devota tanto che passava giorno e notte a pregare nella grotta. Per tal ragione le fu attribuito dal popolo napoletano l’appellativo di Reginella Santa.
Secondo altri invece, Maria Cristina, stanca delle poche attenzioni del marito e delle sue relazioni extra coniugali, frequentava di notte la grotta per incontrare i suoi numerosi amanti e, dopo ogni amplesso, si racconta che li buttasse nella profondità della grotta per nascondere ogni traccia dei suoi tradimenti.
Ancor oggi c’è chi sostiene di aver avvistato la regina nei pressi della grotta, chi afferma di averla vista pregare o chi dichiara di aver sentito una voce. Tuttavia queste sono affermazioni che, al momento, non trovano conferma.



Attualmente la Grotta di Maria Cristina è chiusa al pubblico dopo essere stata dichiarata pericolante.

Un altra singolare leggenda è narrata dalla scrittrice Matilde Serao, nel suo libro “Leggende napoletane”.
Era solito passeggiare per i sentieri del Bosco di Capodimonte un giovane nobile, il suo sguardo era sempre malinconico e triste, fino al giorno in cui tra quei sentieri incontrò una splendida fanciulla, il giovane rimase folgorato dalla sua bellezza, e quando cercò di raggiungerla la giovane fanciulla sparì nel nulla.
Il nobile, ogni giorno incontrava la splendida fanciulla, ed ella ogni volta appariva sempre meno lontana, più nitida e chiara. Il giovane perdutamente innamorato dedicava alla sua amata parole d’amore, la misteriosa fanciulla gli sorrideva ma non
pronunciava mai una parola.I mesi passarono e arrivò l’autunno, e il loro sogno d’amore venne distrutto.
Durante un incontro il nobile chiese alla fanciulla.

– Mi ami?-
– si- lei sussurro con le labbra immobili.
L’emozione fu tanta, il nobile abbraccio forte la fanciulla che cadde al suolo frantumata in mille cocci di porcellana bianca.
La leggenda, racconta che poco dopo anche il giovane morì disperato, per aver perduto la donna che amava. Sempre secondo la leggenda, furono le stesse Porcellane Del Museo di Capodimonte a seppellirlo, la morte fu la vendetta della fanciulla su colui che l’aveva frantumata.



Antonio Gaito


fonti:
 Germana Squillace 
Antonio Gaito
Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano, 2001; Alexandre Dumas, “Storia dei Borbone di Napoli”, Marotta&Marotta, Napoli, 2003; Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Newton Compton editori, 2014; Paola Giovetti, L’Italia dell’insolito e del mistero: 100 itinerari diversi, Edizioni Mediterranee, Roma, 2001.
http://leggendedinapoli.altervista.org/
https://grandenapoli.it/le-anime-inquiete-palazzo-fuga-fantasmi/
Giovannina Molaro
Bibliografia:
M. Fagiolo, Architettura e massoneria: L’esoterismo della costruzione, Gangemi editore, 2006
Sitografia:
http://www.mitiemisteri.it/simboli_massonici_simbologia_massonica/simbologia_e_significato_sole_e_luna.html
http://luoghi.paesifantasma.it/villa-ebe–castello-di-pizzofalcone-.html
https://urbanpost.it/napoli-da-scoprire-villa-ebe-il-luogo-stregato-di-un-genio-incompreso-foto/

https://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/storia/50865-fantasma-castello-giusso-vico-equense/


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