Sacrifici umani al tempo dei Celti
Il sacrificio umano rappresenta il momento più cruento della religiosità dell'uomo, accompagnandone il cammino nel corso della storia. L'omicidio di un essere umano rappresentava un'offerta alla divinità, come parte di un più complesso rito.
Nelle culture antiche il sacrificio di un uomo aveva uno doppio scopo, da una parte propiziare i favori di un dio e dall'altra placare le ire di una divinità. In entrambi i casi il favore era rivolto alle popolazioni che quell'omicidio perpetravano. Con il trascorrere del tempo il ricorso a queste pratiche diminuì sensibilmente all'interno del continente europeo rimanendo in vigore sino alle soglie, in diversi casi anche oltre, della colonizzazione da parte degli abitanti del vecchio continente di quelle zone ove il sacrifico assumeva una ritualità precisa. I motivi che spingevano queste popolazioni ad offrire uomini, donne o bambini alla divinità possiamo sempre farle rientrare nelle casistiche dell'assicurarsi un favore o di placare l'ira della divinità cui il sacrificio era rivolto. Nell'ultimo periodo, grazie ai ritrovamenti archeologici dei bimbi sacrificati sulle Ande, abbiamo potuto confermare le scritture dei primi evangelizzatori cristiani che si spinsero sino agli estremi lembi dell'America meridionale che, diffusamente, diedero notizia di tali pratiche. Un caso che ancora oggi è irrisolto riguarda questa ritualità presso le popolazioni celtiche. Presso i Celti il sacrificio umano si è conservato più a lungo, rivestendo un aspetto di espiazione e purificazione. In un'ottica leggermente diversa possiamo situare la decapitazione e la mutilazione dei nemici, accompagnate da offerte rituali, pratica comune presso queste popolazioni.
Per comprendere quanto di vero ci sia nella ritualità celtica dobbiamo considerare le testimonianze degli autori classici, che sembrano attingere da un'unica fonte. Le prove archeologiche che possono confermare la pratica del sacrificio umano presso queste popolazioni sono insignificanti e, con molta probabilità, se tale rituale veniva utilizzato lo era solo in casi eccezionali. I Celti furono un insieme di popoli indoeuropei che, nel periodo di massimo splendore ovvero intorno al IV-III secolo precedenti la nascita di Cristo, erano estesi in un'ampia area dell'Europa, dalle isole britanniche sino al bacino del Danubio, oltre ad alcuni insediamenti più a meridione. Le varie popolazioni erano unite dalle stesse origini etniche e culturali, dalla condivisione di uno stesso fondo linguistico e da una medesima visione religiosa. I Celti rimasero sempre politicamente frazionati: tra i vari gruppi si ricordano i Britanni, i Galli, i Pannoni, I Celtiberi e i Galati. I Celti furono portatori di una originale e articolata cultura. Queste popolazioni furono soggette, a partire da circa il II secolo avanti Cristo, ad una crescente pressione di altri due gruppi indoeuropei: i Germani a Nord ed i Romani a Sud.
Per quanto concerne i, presunti, sacrifici umani perpetrati dai Celti, Giulio Cesare ha lasciato testimonianza nel De Bello Gallico descrivendo il sacrificio realizzato mediante il fuoco che prevedeva il rogo di una enorme figura di vimini riempita di uomini. La principale testimonianza sulle credenze e gli usi religiosi dei Celti, pur essendo riferita specificamente ai Galli, attesta verosimilmente una situazione in larga parte comune all'intero gruppo celtico all'epoca dei fatti narrati, ovvero intorno al I secolo avanti Cristo. La pratica del sacrificio umano era stata citata in precedenza da Sopatero di Paphos, Cipro, contemporaneo di Alessandro il Grande, quando scrisse che i Celti di Galatia, Asia Minore, erano soliti sacrificare i propri prigionieri in onore agli dei bruciandoli al termine di una battaglia vinta. The Wicker Man, traducibile in uomo di vimini, era una grande statua in vimini utilizzata dagli antichi druidi, sacerdoti del paganesimo celtico, per il sacrificio.
Dato che esistono poche prove archeologiche di sacrifici umani possiamo avanzare l'ipotesi che greci e romani diffondessero informazioni negative per creare il disprezzo verso le popolazioni celtiche? Non esistono prove delle pratiche descritte da Giulio Cesare e le storie di sacrifici umani sembrano derivare da una unica fonte, Poseidonio, le cui affermazioni non sono supportate da prove. Altri scrittori romani dell'epoca, da Cicerone a Svetonio, da Lucano a Tacito per chiudere con Plinio il Vecchio, descrivevano il sacrifico umano tra i Celti. Solo Strabone e Giulio Cesare menzionano l'uomo di vimini come uno dei diversi modi in cui i Druidi della Gallia compivano sacrifici. Cesare riferisce che alcuni Galli costruirono The Wicker Man con bastoni e misero uomini vivi all'interno, poi incendiarono il tutto per rendere omaggio agli dei. Cesare scrive che sebbene i druidi utilizzassero uomini ritenuti colpevoli di crimini a volte usavano schiavi quando non erano in grado di trovare delinquenti.
Tra le scarse rilevanze archeologiche relative ai sacrifici umani dei Celti non possiamo scordarci il ritrovamento nell'estate del 1984 dell'Uomo di Lindow, classica mummia di palude risalente all'età del ferro rinvenuta in una torbiera nella contea inglese di Cheshire. La datazione al radio-carbonio indica come data della morte un intervallo di tempo compreso tra il II secolo avanti Cristo e l'anno 119. La mummia appartiene ad un uomo di circa 25 anni dal peso di circa 60 kg. L'uomo sembra aver subito un rituale di triplice morte: la vittima subì tre colpi alla testa, il taglio della gola e la sepoltura a faccia in giù nella torbiera. Queste rilevanze sembrerebbero indicare un preciso rituale poiché la religione di queste popolazioni si basava su un concetto di triplicità, e nel caso dell'uomo di Lindow rappresentato dalla triplice esecuzione.
Gli studiosi ancora oggi non sono d'accordo se si tratti di un sacrificio umano o di una esecuzione, o di entrambe le cose. La dottoressa Anne Ross suggerì che l'uomo di Lindow fosse un druido, come si intuirebbe dalle scarse tracce di usura da lavoro sul corpo. La stessa scienziata avanzò l'ipotesi che l'uomo fu sacrificato durante la festività di Beltane, dopo un pasto simbolico di pane e grano bruciato. Il parere dello scrittore Grisby è nettamente diverso poiché sostiene che la vittima fu sacrificata interpretando il ruolo di divinità morente, poi rinascente, come l'Osiride egizio. La tesi di Grisby pare supportata dal fatto che l'uomo fu decorato con una sostanza vegetale di colore verde. Provando a superare le ipotesi degli scienziati per quanto concerne l'uomo di Lindow, Enrico Campanile, nel libro Le religioni antiche, afferma che “in quasi tutti gli autori greci e latini è fortissimo il pregiudizio poiché essi pongono in rilievo tutto ciò che vi appariva barbarico e incivile”. Lo stesso studioso afferma ancora che “l'opinione pubblica vedeva nei Celti l'espressione di tutto ciò che era negativo, crudele, barbarico, incivile e anche sciocco, irrazionale, bestiale, e spesso sostanziava tali giudizi con riferimento a specifici usi valutati, però, in maniera del tutto astratta e avulsi dal loro contesto culturale o, addirittura, interpretati in maniera arbitraria e scorretta”.
La domanda pare scontata: fu il solo Gaio Giulio Cesare ad esagerare, se non addirittura inventare, eventi riguardanti la ritualità celtica con particolare riferimento al sacrificio umano? Assolutamente no, anche Cicerone ricordò il sacrificio umano di ladri e assassini, in mancanza dei quali si sacrificavano persone comuni, in toni denigratori.
Solo i romani producevano esagerazioni o menzogne sulle popolazioni celtiche? No, poiché i greci non furono da meno. Lo scrittore Diodoro riferì di episodi di sacrifici umani in questi termini: “quando debbono divinare su questioni importanti, praticano una strana e incredibile usanza, uccidendo un uomo con una coltellata nella regione sopra il diaframma. Predicono il futuro osservando le convulsioni degli arti e il modo in cui si sparge il sangue”. La denigrazione del nemico esiste da sempre e Gaio Giulio Cesare creò, probabilmente, notizie infondate per giustificare le guerre contro i Galli. Pare strano agli occhi di un moderno essere umano tale profondo disprezzo per determinate pratiche, purché inventate, da parte di un popolo che delirava per i combattimenti tra gladiatori o per la morte di esseri umani dati in basto alle belve feroci. Parrebbe quasi che si esagerasse la brutale ritualità del nemico, in questo caso i Celti, per giustificare o sminuire la propria.
fonte-https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/2017/12/i-sacrifici-umani-presso-i-celti.html
di Fabio Casalini
Bibliografia
Ries Julien, L'uomo e il sacro nella storia dell'umanità, Jaca Book, 2007
Taraglio Riccardo, Il vischio e la quercia. Spiritualità celtica nell'Europa druidica, L'età dell'acquario, 2001
Grigsby John, Warriors of the Wasteland. Watkins Publishing, 2005
C. Renfrew, P. Bahn, L'essenziale di archeologia, Zanichelli, Bologna 2009
Giordano Berti, Miti dei Celti d'Irlanda, Lo Scarabeo, Torino, 1994
Melita Cataldi, Antiche storie e fiabe irlandesi, Torino 1985.
Giovanni Giusti, Antiche liriche irlandesi, Salerno Editrice, Roma 1991.
Augusta Gregory, Dei e guerrieri d'Irlanda, Studio Tesi, Milano 1991.
Françoise Le Roux e Christian-J. Guyonvarc'h, I Druidi, ECIG, Genova, 1990
Campanile Enrico, Le religion
i antiche, Laterza edizioni, 1994
Celti-da Samhain ad' Halloween
In tutta l’Europa antica, la fine del raccolto coincideva con la festività dedicata alle anime dei trapassati: vediamo come si è giunti dalla celebrazione celtica di Samhain a quella odierna di Halloween, passando per la ricorrenza cristiana di Ognissanti.
A tutti noi è almeno una volta capitato, quando eravamo piccoli, di travestirci da mostri, vampiri, streghe o altre creature sovrannaturali. La ormai famigerata notte di Halloween, prossima ad arrivare, ha contagiato con il suo lato consumistico e profano tutta una serie di tradizioni che risalgono ad un passato lontano e affascinante.
La moderna festa di Halloween poggia su tutta una serie di errate interpretazioni sviluppatesi nella mentalità cupa dell’età Vittoriana, dove il gusto gotico per l’occultismo, la negromanzia, la divinazione e il macabro in genere riscuoteva molto successo nei ceti medio-alti del mondo anglosassone. A questi aspetti, che diedero il substrato materiale, si unirono quelli più commerciali che si svilupparono qualche decennio dopo in America, dove sono andati a creare la festa tanto apprezzata da tutti quei bambini che vanno in giro per le case al ritornello di“Trick or Treat”.
Qui mi ripropongo, al contrario, di spiegare al meglio delle mie possibilità la profondità e la spiritualità di tutta una serie di culti che, dal pagano mondo agricolo celtico e mediterraneo, sono arrivati alle porte dell’era moderna attraverso le festività religiose cristiane [1].
Primo mito da sfatare. Il termine Halloween è un termine cristiano. É la corruzione della frase “All Hallow’s eve” ovvero “Sera della festa dei Santi” – da hallow, che vuol dire santificare e dall’abbreviazione di evening “eve”, che vuol dire sera. Questo perché la notte del 31 ottobre venne, nell’Alto Medioevo, a coincidere con la veglia in attesa della celebrazione di Ognissanti del giorno successivo. Ma andiamo per gradi.
Tutte le culture agricole dell’antichità avevano una serie di rituali e momenti cultuali che scandivano passaggi importanti dell’anno. I romani – mutuandole spesso dagli etruschi – avevano alcune festività legate al ciclo di nascita-morte-rinascita della vita. Uno, molto arcaico, era il Mundus Cereris, nel quale si pensava che in tre specifici giorni dell’anno (24 agosto, 5 ottobre, 8 novembre) il mondo dei vivi e quello dei morti sarebbero entrati in comunicazione. Stessa cosa avveniva nei Saturnalia (tra il 17 e il 23 dicembre), nei quali giorni le divinità infere e gli spiriti dei defunti avevano la facoltà di tornare sulla terra e perciò andavano placate con offerte di cibo, banchetti e sacrifici
I culti che, ai fini di questo articolo, ci interessa indagare di più, sono però quelli celtici. La festa di Samhain, che intercorreva tra il 30 ottobre e il 2 di novembre, detta anche Trinuxtion Samonio capodanno celtico, è stata quella pratica rituale sulla quale si poggerà in seguito la liturgia cristiana. Samhain è stato visto, nella concezione gotica che abbiamo accennato all’inizio, come un vero e proprio “Principe delle Tenebre” o un oscuro “Signore della Morte” [3], ma in verità non ci sta alcuna prova che fosse una divinità celtica. In gaelico antico samain – oppure samuin o ancora samfuin – vuole solo dire “fine dell’estate” dall’unione delle parole sam e fuin, oppure, secondo un’altra lettura, semplicemente “riunirsi assieme”. Questo perché nella cultura celtica l’anno solare era diviso in due periodi; l’inverno, detto geimhreh, che iniziava con la festa di Samhain e l’estate, detta samradh, che iniziava con la festa di Beltane.
L’anno agricolo nuovo, da qui il fatto che Samhain risultasse essere il capodanno celtico, iniziava proprio con novembre, poco dopo la fine dei raccolti, che erano stati appena immagazzinati per l’inverno. Una festa del genere era presente anche nel mondo mediterraneo, come testimonia il culto di Cerere proprio tra ottobre e novembre, ma i latini scelsero di far coincidere l’inizio dell’anno con la primavera – da primum, ovvero prima stagione – e il mese di aprile – da aperire, ovvero che apre l’anno.
Edwin Landseer, “Scene from A Midsummer Night’s Dream. Titania and Bottom”.
Ma che cosa si faceva durante la festa di Samhain? In primo luogo era un momento di ricongiungimento di gruppi familiari, clan, tribù, persino nazioni intere – gli irlandesi si riunivano presso la sacra collina reale di Tara, ad esempio – con il fine di ringraziare gli dei per il buon raccolto e propiziarseli per quello che si andava ad iniziare nell’anno a venire. Allo stesso tempo era un momento nel quale la terra andava simbolicamente a dormire, quindi a morire per poi rinascere la primavera seguente. Per questo motivo quei giorni erano considerati come un momento dove il mondo reale dei vivi si incontrava con quello di Annwyn [4] – degli spiriti – e di Sidhe – delle fate
In ragione di questo si pensava che gli spiriti di coloro che erano morti sarebbero potuti temporaneamente sfuggire al loro stato per tornare a far visita alle persone care ancora in vita. Dal canto loro, per facilitare il loro arrivo, era consuetudine mettere delle candele accese alle finestre delle case, per indicare loro la strada. Allo stesso tempo si preparava del cibo in più e si apparecchiava per coloro che erano scomparsi, in modo che potessero unirsi alla tavola dei loro familiari ancora una volta. I romani e gli etruschi, ma anche i celti e perfino i cristiani, talvolta sollevano recarsi direttamente nei luoghi di sepoltura, per pranzare con i defunti, tra le tombe.
Bisogna capire che il mondo dei morti non era visto in chiave negativa o paurosa nel passato, soprattutto quando riguardava il rispetto e il ricordo dei proprio cari estinti. Questi ultimi infatti, quando giungevano in quei giorni sulla terra, venivano ad incontrare gioiosamente i loro familiari, che a loro volta preparavano banchetti in loro onore. Queste tradizioni ancestrali permangono ancora in certi ambienti rurali. In Sicilia esistono infatti i dolci dei morti, antico ricordo del cibo che si lasciava agli spiriti dei defunti proprio in questi giorni. In quanto alla Sardegna, mia nonna mi ha spesso raccontato che, nella notte tra l’1 e il 2 di novembre, era uso comune in paese il porre candele accese alle finestre, apparecchiare le tavole con posti in più e lasciare del cibo vicino alla porta d’ingresso delle case.
Nel mondo celtico, incentrato sul tempo cosmico rappresentato dal cerchio di nascita-vita-morte-rinascita, il passaggio dall’estate all’autunno-inverno era proprio il momento in cui la terra moriva per poi rinascere [6]. Per questo la festa di Samhain aveva tutta una serie di aspetti mitico-rituali profondi e articolati – purtroppo poco conosciuti scientificamente, visto che riguardano una civiltà che non conosceva la scrittura – che di sicuro, in linea generale, ricomprendevano aspetti orgiastici, rottura delle norme tradizionali di comportamento, riti beneauguranti o legati alla fertilità, sacrifici di animali – in genere i primi nati, come segno propiziatorio di fecondità nelle greggi e nelle mandrie.
Ma il più suggestivo rituale il cui ricordo si è tramandato è, a mio parere, quello del falò sacro. Il 30 ottobre, nelle colline della Britannia, della Gallia, dell’Irlanda e della Caledonia venivano preparate delle enormi cataste di legno. Il 31 queste venivano accese e, in concomitanza, i fuochi dei focolari di ogni singola abitazione di tutti i villaggi venivano spenti per tutta la notte. L’indomani, il primo giorno di novembre, i druidi si recavano di casa in casa a portare le braci ardenti del sacro fuoco nuovo, che simbolicamente delineava il trapasso dell’anno vecchio in quello che appena incominciato.
Bene, questo era più o meno quello che avveniva nelle origini. Ma poi cosa accadde con l’avvento del Cristianesimo? Il processo di cristianizzazione dei pagani non fu un evento né miracoloso, né tanto meno scontato. I primi padri della Chiesa, in seguito all’Editto di Tessalonica del 380, con il quale l’imperatore Teodosio imponeva il Cristianesimo come religione di Stato e iniziava a perseguitare tutti coloro che veneravano gli antichi dei, dovettero lavorare per molti secoli al fine di far digerire la loro nuova fede ai pagani.
Nel 835 d.C., vista la resistenza dei culti campestri legati a Samhain nel mondo celtico e a Cerere, Demetra e altre divinità minori in quello mediterraneo, il Papa Gregorio II decise di spostare la data nella quale si celebravano tutti i Santi dal 13 maggio al primo di novembre. Quasi due secoli dopo, nel 998, Odilone di Cluny iniziò a far recitare nel suo monastero benedettino una preghiera “pro requie omnium defunctorum” il 2 di novembre. Ben presto questa idea venne colta da Roma, che la istituzionalizzò, inserendo molte delle attività cultuali pagane nel rito cristiano, mettendo in campo quel sincretismo religioso che le ha permesso, con un lavoro lungo secoli, di far digerire in maniera quasi indolore la nuova religione, poggiandola sulle tradizioni e sulle credenze di quelle vecchie. Difatti le offerte di cibo ai defunti, i fuochi e le luci accese, le maschere per spaventare gli spiriti malvagi tipiche delle tradizioni cristiane rurali, sono tutti aspetti pagani, perfettamente conservati all’interno di una lieve patina di superficiale cristianizzazione
Vorrei chiudere questo rapido viaggio nel passato con una nota divertente, riportando il mito che sta alla base delle famose zucche di Halloween, ovvero la leggenda di Jack O’Lantern. Jack O’Lantern, anche detto Stingy Jack, era secondo una vecchia leggenda irlandese l’ubriacone del villaggio, oltre che un inveterato scommettitore. Si dice che una volta, proprio durante una notte di Halloween, incontrò il diavolo per strada e lo invitò a bere a casa sua. Più tardi, tutti e due abbastanza alticci, si fecero una passeggiata e arrivarono davanti ad un vecchio albero. Jack, sempre in cerca di scommesse, sfidò quindi il diavolo ad arrampicarsi sopra di esso. Il diavolo, sorridendo, salì sull’albero con facilità, ma Jack incise una croce sulla corteccia, intrappolandolo lassù grazie a quel simbolo sacro. A questo punto il Jack gli propose un patto: il diavolo, se voleva poter tornare a terra, doveva promettere di non tentarlo più. Il diavolo accettò. Quando, anni dopo, Jack morì, le porte del Paradiso gli furono negate a cause dei suoi vizi. Jack si diresse quindi all’inferno, ma il diavolo gli impedì l’accesso per vendicarsi della sua bravata, condannandolo a vagare nel limbo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, senza meta.
Gli venne però dato un tizzone ardente, per illuminare il suo cammino nell’oscurità. La tradizione afferma che Jack mise il tizzone in una rapa o una cipolla svuotata, in modo da farlo durare più a lungo, e così iniziò il suo solitario e triste cammino per l’eternità, con la possibilità di accedere al nostro mondo solo la notte della sua bravata col diavolo, ad Halloween. Quando agli inizi del secolo ci fu la carestia delle patate in Irlanda, molti irlandesi migrarono in America, portando con loro le loro antiche tradizioni e storia, compresa quella di Jack O’Lantern. Negli Stati Uniti però trovarono le zucche, che si adattavano meglio ad essere intagliate rispetto alle rape o alle cipolle e da allora è nata la tradizionale zucca di Halloween.
Prima di salutarci, un paio di considerazioni conclusive. Alla fine tutte queste antiche pratiche e credenze religiose nascono in un mondo antico, mosso da valori e principi in parte alieni al nostro frenetico mondo moderno e urbanizzato – come l’importanza dei cicli delle stagioni e i raccolti –, in parte da altri che condividiamo o che almeno dovremmo curare con attenzione come il senso delle tradizioni, dei valori sociali e familiari, del senso di appartenenza ad un popolo e a una cultura.
Ma la cosa che più ci accomuna con tutte quelle generazioni di uomini dimenticate e ormai solo polvere è il grande mistero del cuore umano, che non si vuole mai rassegnare alla scomparsa dei propri cari estinti e delle persone a cui ha voluto bene. E infine, soprattutto, che ancora rimane, oggi come allora, affascinato e allo stesso tempo terrorizzato dal grande mistero della morte e di che cosa avviene dopo di essa.
Astrup Jonsokbål, “St. John’s Night Fire”.
di Alberto Massaiu
originariamente pubblicato sul blog dell’autore
immagine: Karoly Kisfaludy, “Ossian Conjures up the Spirits on the Banks of the River Lorca”
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