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domenica 19 gennaio 2020

cronache pagane





La cultura religiosa celtica considerava il mondo, la natura e le sue manifestazioni viventi, immersi in un fluido eterico invisibile nel quale esseri inimmaginabili e senza dimensione –quali déi o demoni- vivevano una eterea esistenza che a pochi mortali era dato cogliere e percepire. Il mondo delle foreste, dei boschi cupi ed impenetrabili, risonanti di echi lontani; il fulgore della vegetazione rigogliosa pervasa dai raggi solari, i misteriosi baratri fra rocche di pietra ed absidi di basalto erano, per i Celti, il più grande tempio vivente che ospitava la forza magica immanente del creato e dei suoi innumerevoli esseri. Leggende solari, cupe e terribili superstizioni, saghe arcaiche tinte di terrori e di sangue, lontane gesta d’eroi e di sacerdoti misteriosi testimoniano questa antica fede naturale radicata nel cuore tenace della più avita e misteriosa cultura d’Europa, soffocata dal mondo moderno ma mai doma e sconfitta.
Pressoché impossibile è ricostruire il corpus di dottrine che davano senso e significato a queste antiche tradizioni:


il mistero celtico, tramandato solo oralmente e mai per iscritto, è stato suggellato dal silenzio al quale furono ridotti gli sconfitti sacerdoti celti; queste tradizioni parlano, ormai, solo il linguaggio senza tempo ed evanescente delle leggende più antiche. Dietro il gran manto del mistero è però possibile cogliere frammenti dell’antica sapienza druidica (druid, è radice sanscrita che significa “vedere”, come nel latino “videre”). Un primo caposaldo della convinzione magica della Natura presso i Celti è dato dalla convinzione dei nostri antichi progenitori dell’esistenza di esseri e forze profonde celate agli uomini: un Pantheon di divinità maggiori e minori che hanno dato vita alle immaginifiche ed affascinanti leggende del Piccolo Popolo di gnomi, fate, streghe, elfi, trolls e coboldi.


Per i Celti esistevano luoghi sacri ove queste presenze misteriose eppur reali avevano la possibilità di manifestarsi con un vigore insospettato. Ogni località che desse segni dai quali intuire che la Natura fosse ammantata di forze misteriose ed affascinanti –soprattutto tra valli, forre, boschi e radure campestri- era il luogo di elezione di queste magiche presenze.


Il sacerdote celta era in grado di localizzare questa energia occulta del mondo naturale, di accumularla e di orientarla verso luoghi ed obbiettivi precisi –nel bene e nel male- a favore del proprio popolo ed a rovina dei nemici e in ciò la tradizione celtica si avvicina fin quasi all'identificazione con fedi e credenze presenti in altri popoli tradizionali. Questa forza occulta e magnetica della Natura era considerata presente in ogni specie vivente, tenendo ben presente che per i Celti ogni presenza naturale era dotata di oscura vitalità: piante, pietre, fulmini, tempeste, esseri animali ed umani erano pervasi da questa sorta di anima magica che rappresentava il doppio sottile della loro esistenza fisica proiettato nella dimensione parallela dell’universo di Faerie. Nei luoghi sacri l’esorbitante e sovrabbondante presenza di tali energie magnetico-sottili permetteva l’affiorare di fenomeni magici ai quali i Celti consacravano i loro riti più vivi e partecipi: la natura si animava allora di una vita arcana e misteriosa che poteva essere volta a vantaggio dell’uomo oppure a suo danno inesorabile. Le leggende celtiche sono più chiare di quanto non sembri ad una prima lettura –basta decifrarle con una lettura criptica e simbolica- ed allora il segreto dei druidi fa trapelare la grandezza terribile che lo ammanta poiché, come sostiene a ragione Elide, tutto il Sacro è pervaso dal senso di sgomento della grandiosità terribile del sovrannaturale.

Non a caso, i templi celtici erano siti in foreste o sulla cima incontaminata di monti sacri, laddove le forze spirituali primigenie avevano eletto il luogo della manifestazione privilegiata. La magia druidica consisteva essenzialmente nella conoscenza di queste forze e nella capacità di governarle attraverso la ritualità gestuale e, soprattutto, attraverso l'elaborazione di mantras magici in grado di “incantare” tali disincarnate entità, al pari di quanto conosciuto nelle più occulte ed inaccessibili dottrine del buddismo mahaianico tibetano: dimostrazione palese dell’unità primordiale delle tradizioni indo-ariane. 

Tali energie, attraverso il rito consacrato nei luoghi misterici del culto celtico, nel maestoso silenzio delle foreste di querce, grazie all’incontro con una natura ancora giovane e non contaminata dal progresso, si manifestavano, imprigionate dalla forza evocatrice del mago-druida in oggetti sacri costituenti il simbolo e la forza sacra delle singole comunità celtiche. Una leggenda viva nelle valli del Friuli nord-orientale narra che, ponendo in croce due rami tagliati di fresco da un albero, si possa sentire un sibilo lieve ma oscuramente inquietante: la leggenda, di chiara matrice celtica con contaminazioni cristiane, dice che il sibilo è la voce dell’anima di un defunto che si lamenta di essere stata imprigionata da demoni maligni attraverso i rami posti nella forma rituale di croce. Spira da questa leggenda malinconica la percezione di una Natura vivente attraversata da spiriti malevoli e benigni, perfidi e tristi, molteplici proiezioni dell’anima magica dei popoli dell’antica Europa. Simili a questa sono le numerose saghe e le leggende che descrivono le anime dannate imprigionate in granitiche pareti di montagne misteriose, anime costrette dal loro Fato, in notti infernali di tregenda, ad uscire dalla loro tombale prigione per darsi a ridde demoniache ed agghiaccianti.

Anche queste saghe, comunissime in tutto l'arco alpino, nascono tutte dalle brume sperdute della spiritualità celtica. Riecheggia, sempre, la sacralità del mondo boschivo alpestre che per i Celti era mondo sacro per eccellenza. Tutte le tradizioni d'Europa hanno identificato in siti arcani e forestali i luoghi più profondi di manifestazione dell'Oltremondo pagano, laddove le forse spirituali sottili avrebbero avuto –quasi magica porta sull'invisibile- possibilità di manifestarsi nel caduco mondo terreno.

Le tradizioni celtiche, attraverso le leggende, ci tramandano quasi una mappa di questa geografia sacra di località magiche arcaiche. Luoghi simili sono ancora conosciuti del Country Wicklow in Irlanda, nella Scozia Settentrionale, come pure in tutta l’Europa e fino a Roma ed oltre. In questi luoghi si narrava si manifestasse con gran facilità l’antico popolo di Faerie per festeggiare con danze eliche e riti campestri l’antica forza immanente della Natura, del Mundus Imaginalis. Lo scrittore, celta moderno, W.B. Yeats ha a lungo narrato nelle sue opere di apparizioni di esseri fatati (i Sidhe), nell'Irlanda, manifestando la convinzione dell'esistenza reale di località sature di forza magica in grado di favorire e di rendere possibile queste apparizioni dell'oltremondo celtico. Una di queste apparizioni ci è documentata da Yeats: “Ci fu dapprima uno splendore di luce e poi vidi che questa proveniva dal cuore di una figura alta con un corpo apparentemente formato da aria trasparente o fosforescente e attraverso il corpo scorrere un fuoco elettrico e radiante. Attorno a questa figura si espandeva un’aura lucente simile ad ali fiammeggianti”. La descrizione nelle foresti irlandesi di una immagine simile a quella degli Elfi delle leggende, appare molto simile a quanto esposto nelle dottrine segrete del Tibet circa la facoltà di alcuni monaci, attraverso lunghi esercizi di meditazione, di proiettare l’immagine del proprio doppio etereo o sottile al di fuori del corpo fisico, come nella saga di Milarepa (l’asceta dell’Himalaya) che, di notte, durante il sonno, si allontanava dal corpo fisico per presiedere convegni di spiriti delle montagne.


Al di là di saghe e leggente –che comunque mantengono un fondo di verosimiglianza difficilmente comprensibile per l’uomo moderno- abbiamo la concreta testimonianza di Evola nelle sue Meditazioni delle vette, dove ci descrive le inesauribili possibilità logiche dei monaci tibetani. Del resto, l’esperienza dell’esistenza di siti arcani del genere ove l’impossibile diviene realtà, ci è stata confermata dal grande alpinista Kurt Diemberger (4) che, nell'attraversare una misteriosa valle segreta del Tibet, giunse in una fortezza sconosciuta alla cartografia ufficiale, dove percepì forze energetiche sottili che gli permisero di coronare con successo un'ardita impresa alpinistica che sembrava impossibile. Di foreste magiche è piena la tradizione popolare.

Qualche volta, taluni di questi siti arcani vengono ricostruiti quasi come templi naturali, novelli nemeton celtici, come è accaduto durante il XV secolo nel bosco di Bomarzo, in Toscana (5), quando in una antica foresta vennero innalzati simboli esoterici e solari in prossimità dei punti di maggior energia naturale effusa dal Sacro Bosco:

Tali simboli, scolpiti nella pietra, raffiguravano Mostri, Draghi (simbolo del fuoco), Divinità delle Acque (simbolo complementare a quello igneo).

E. Longo
BIBLIOGRAFIA:
1) W. Ewants, Cuchama and sacred mountains, USA 1983, pp. 160 e ss.
2) R. Domenigg, TRADIZIONI E LEGGENDE DELLA VALCANALE, vol. II° . d.
3) Citato in Ewants, op. cit.
4) Emilio Ferrari, l’artimista degli dei, in Rivista della Montagna, marzo 1992.
5) Dino Orlandi, Segreti e misteri del Sacro Bosco di Bomarzo, in Giornale dei Misteri, marzo 1992




Tratto dal sito il boschetto di Ylith

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