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mercoledì 7 novembre 2018

Re Artù:La verità oltre la leggenda

Re Artù: La verità oltre la leggenda

Re Artù sulle tracce del sovrano tra Mito e storia
La storicità di re Artù è oggetto di dibattito ancora oggi, soprattutto nella storiografia moderna e contemporanea. La figura del sovrano appare infatti in moltissime leggende, poemi e racconti, conosciuti complessivamente con il nome di Materia di Britannia.



Riassumere in poche righe tutte le informazioni che parlano di questa figura storica e mitologica sarebbe praticamente impossibile, quindi ho pensato di fornirvi un piccolo schema riassuntivo che spero vi permetterà di muovervi più facilmente in una delle più grandi e più discusse leggende europee. 
Quando si parla di Artù, verità e mito sono elementi che si legano tra loro in maniera inestricabile. Che si tratti di un capo militare della Britannia, vissuto tra V e VI sec d.C., o che si tratti di una figura di fantasia ispirata ad un personaggio realmente esistito, RE ARTÙ assume un ruolo chiave in tutto l’immaginario medievale, ma anche moderno.
Dopo aver passato al setaccio numerose informazioni, le notizie che ricorrono maggiormente vedono Artù come l’emblema del monarca ideale, sia in pace che in guerra. Figlio di Uther Pendragon, leggendario sovrano della Britannia, e Ygraine di Cornovaglia, viene considerato un eroe nazionale e le sue gesta sono diffuse dai cantastorie non solo in Gran Bretagna ma anche in terre lontane. È colui che sconfigge i nemici Sassoni, unifica il proprio paese, costituisce un governo ideale a Camelot e per finire fonda l’Ordine dei Cavalieri della Tavola Rotonda. In lingua celtica il nome “Artù” significa ORSO, simbolo di forza, stabilità e protezione, qualità che rispecchiano la caratterizzazione di questo personaggio in tutte le leggende.




Ancora bambino viene affidato alle cure di MERLINO, anch’essa figura enigmatica e controversa, ma generalmente considerato un mago, un profeta e successivamente consigliere e protettore del giovane Artù. Secondo alcuni è grazie ad un suo incantesimo che si deve il concepimento di Artù, sortilegio che ha permesso a re Uther di cambiare le sue sembianze in quelle del marito di Ygraine, diventandone l’amante e sposandola dopo la morte del primo marito.
Artù ottiene il trono estraendo una spada da una roccia, un’impresa che avrebbe potuto compiere solo “colui che è il vero re”, inteso come l’erede di Uther Pendragon. Una seconda leggenda narra che sia stata la DAMA DEL LAGO a donare Excalibur, una spada magica ad Artù, dopo che egli era già re, mentre in base ad altre storie sembra che Artù sia riuscito ad estrarre la spada dalla roccia, ottenendo così il diritto a diventare re, ma che l'abbia gettata via dopo che, tramite essa, uccise accidentalmente un suo cavaliere. Merlino allora gli consigliò di trovare una nuova lama, cosa che succede quando Artù riceve la spada direttamente dalle mani dalla Dama del Lago, rinominata "Excalibur" come la precedente estratta dalla roccia.


GINEVRA, figlia di un re, è una fanciulla di straordinaria bellezza, citata in diverse opere del ciclo arturiano, con lineamenti leggeri, capelli scuri, occhi verdi e ben proporzionata. Amata sposa e regina di Artù, fu amata con passione dal primo cavaliere della Tavola RotondaLANCILLOTTO, l'uomo senza macchie e votato più di ogni altro cavaliere al suo sovrano e alla sua missione. L'amore clandestino tra la regina e il primo cavaliere macchiò quest’ultimo, immacolato fino a quel momento, del peccato più grande: il tradimento verso il suo signore e verso Dio,e che causò la distruzione di quell'insieme di ideali di coraggio e di lealtà che avevano dato vita alla Tavola e al pacifico regno di Camelot. Solitamente viene dipinta come una donna frivola e civetta che non esita, per la propria vanità e lussuria a rovinare non uno,ma due eroi e a lasciare il suo regno nella rovina ed in preda alle aggressioni del nemico.


Secondo una prima tradizione MORGANA fa parte di un gruppo di nove fate(a loro volta di tradizione celtica) che vivono ad Avalon e aiuta Artù a guarire dalle sue ferite mortali. Nelle narrazioni successive Morgana è la nipote o la sorellastra, da parte di madre, di Re Artù, con cui concepisce Mordred, e assume connotati sempre più negativi, fino a diventare l'implacabile nemica del sovrano, di Merlino e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Nelle opere tardo medioevali, dimenticate le origini semidivine, viene presentata come una perfida seduttrice, tanto bella quanto malvagia. 

Per quanto riguarda la figura di MORDRED vi sono numerose leggende, che differiscono notevolmente tra loro. C’è chi lo vede come nipote e figlio adottivo di Artù (figlio di sua sorella Anna) e chi come figlio illegittimo di Artù e della sorellastra Morgana(oggi l’opinione più diffusa). Al tempo della campagna di Artù contro i romani, Mordred spinge la regina Ginevra all'adulterio, usurpa il trono al re e si riappacifica con i Sassoni, da sempre nemici di Artù e da lui sconfitti. Una delle tradizioni  narra che, al ritorno dalla guerra, Artù lo sfida presso il fiume Camel in Cornovaglia e lo uccide. A sua volta ferito mortalmente da Mordred, Artù muore e viene sepolto ad Avalon. Un altro racconto lo vede sopravvissuto allo scontro con Artù, ma catturato da Lancillotto, che uccide Ginevra, colpevole del tradimento sia di Artù che del suo regno. Mordred viene incarcerato dal primo Cavaliere insieme al cadavere di Ginevra e in prigione morirà di fame dopo aver divorato il corpo di lei.



L'Uomo Orso: la storicità di Re Artù di Britannia.

I film, le cronache medievali, i cartoni animati e molto altro ci hanno sempre presentato la figura di questo misterioso re, tale Artù figlio di Uther Pendragon e re di Camelot. Coi suoi cavalieri, che variano dai 12 ai 150, Artù avrebbe guidato la Britannia medievale difendendola dalle invasioni dei suoi nemici e dai vassalli troppo poco fedeli come il nipote Modred.
Tuttavia, nelel fonti medievali non compare nessun monarca con tale nome?
Le fonti medievali hanno mentito dunque? Il ciclo arturiano è falso?
No, scopriamolo insieme.

Sebbene il ciclo arturiano descriva armature dell'Anno Mille, i nemici citati sono i Sassoni che in quel periodo governavano l'isola. Questo ci consente di retrodatare la sua esistenza all'invasione di questi ultimi, attorno al V-VI secolo.
In quel periodo la Britannia era in fermento: le legioni, che per secoli avevano rappresentato una sicurezza per i romano-britanni, stavano lasciando l'isola, considerata indifendibile.
Nel caos politico, numerosi capitribù celti si erano trovati ad affrontare non solo il vuoto di potere ma la terribile minaccia sassone aldilà del Mare. Chiamati da Vortigern come mercenari, i Sassoni si rivelarono presto degli invasori pagani feroci; lo stesso vescovo di Auxerre, San Germano, dovette combattere con loro durissime battaglie come quella dell'Alleluia, dove nella Pasqua dell'anno 429, inflisse loro una cocente sconfitta.
Tuttavia la situazione pareva peggiorare finchè i riottosi clan furono riuniti sotto la figura di Righotamus, un misterioso capo celtico che riuscì a fermare i Sassoni nella Battagli di Badon Hill dove distrusse i loro effettivi.
La linea dei cimiteri sassoni, infatti (necessari per datare l'espansione del popolo germanico) si ferma bruscamente a metà Inghilterra rimanendo statica per circa un cinquantennio.

Di questo Righotamus sappiamo che era nato in Cornovaglia e che doveva avere perlomeno ascendenze celtiche; nelle cronache viene definito Imperator, termine che indica il comandante nelle legioni, e dux bellorum, signore della Guerra.
Quindi le figure di Artù e Righotamus sono sovrapponibili: entrambi celti, entrambi re di Cornovaglia, entrambi combattono i Sassoni.
Del resto, il nome Artù è un soprannome, non un nome proprio, che significa "Uomo Orso".

E per un celta di lingua latina, non vi è soprannome più azzeccato per un signore della Guerra.


Quindi se esiste una leggenda che ancor oggi suscita incantevole fascino, senza dubbio, è quella del mitico Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. L’origine del racconto, come lo conosciamo oggi, si perde nei secoli. I bardi britannici, a partire dal VII secolo d.C., cantavano alla corte dei loro signori le gesta del grande re Artù.

Ma questo impavido e nobile condottiero è davvero esistito?

Da tempo noti studiosi si sono messi sulle tracce del mito e alcuni di essi sono certi di aver individuato la verità storica dietro re Artù. Andiamo con ordine.

Innanzitutto, il motivo che spinge a rifiutare la storicità di re Artù è il suo magico mondo; conosciamo bene la leggenda che difatti è intrisa di racconti e figure incredibili, ovvero non reali, (Mago Merlino, la spada magica, la Dea del Lago, per citarne qualcuno). Ma dove finisce la leggenda e, eventualmente, dove partirebbe la “storia” di re Artù? Le fonti consultate dagli studiosi iniziano proprio dai canti dei bardi britannici.


Questi racconti orali, a partire dal XII secolo hanno iniziato ad avere il loro supporto scritto; diversi autori ne hanno trattato l’argomento fino al XV secolo. Di volta in volta questi racconti acquisivano dettagli in più, diventando veri e propri romanzi. I romanzi arturiani (il cosiddetto ciclo bretone) dal XII secolo al XV secolo denotano però un sovrano medievale, non più il sovrano dell’età tardo romana.

Sotto, la Tavola Rotonda in un’illustrazione da un racconto del ciclo bretone:



Questo vale anche nelle raffigurazioni: Re Artù si veste e combatte in modo medievale, ma la leggenda parla chiaro: l’eroe unificò la Britannia nei suoi secoli bui. L’Artù della leggenda opera quindi negli anni della caduta dell’Impero romano e lotta contro le invasioni dei barbari angli, pitti e sassoni che, da ogni parte, minacciavano la delicata stabilità della Britannia. Il condottiero doveva aver quindi operato negli anni tra la fine del V e l’inizio del VI secolo.



È probabile che un uomo, magari di stirpe nobile, abbia sentito il dovere e l’esigenza di agire contro i barbari e le loro razzie? Cosa ci dicono le fonti?

Gli annali degli Anglosassoni (ormai riuniti in un solo popolo) parlano (ovviamente) delle loro vittorie e gli stessi tacciono in merito a una loro potente arretrata in seguito a una vittoria dei Britanni. Questo vuoto nella cronaca è però raccontato dal monaco Gildas il Saggio, del VI secolo: nel suo De Excidio et conquistu Britanniaeracconta che da ogni parte la Britannia è sotto minaccia barbara a causa dei signori incapaci di agire contro gli invasori.

Sotto, Gildas il Saggio:

Gildas a un certo punto parla dell’importante e fondamentale vittoria dei britanni contro gli anglosassoni: la battaglia di Badon Hill.

È questa la battaglia assente nella Cronaca Anglosassone

Sotto, “Arthur che conduce la carica sul monte Badon”, illustrazione da un volume del poeta Alfred Tennyson:


Da questa battaglia nascerebbe il mito di re Artù. Gildas scrive della battaglia di Badon Hill in un tempo in cui era viva la memoria dei fatti: furono tre giorni di combattimento in cui la cavalleria britannica, educata alla romana, ebbe la meglio. Questa frenata agli anglosassoni è documentata da ritrovi archeologici che attestano un lungo periodo di pace. Fu Artù il condottiero di Badon Hill? Ammesso che non esista la storicità di re Artù, senza dubbio è esistito un condottiero capace di unire la Britannia e dare una frenata agli invasori esteri.
Sotto, Badbury Rings Hillfort, nel Dorset, uno dei possibili teatri di scontro della battaglia di Badon Hill:

Gildas e Beda il Venerabile, l’altra fonte in cui compare la battaglia di Badon Hill, non nominano il condottiero; a farlo è un’altra fonte di cui si dispone: lo storico Nennio nella sua Historia Brittonum parla della battaglia e del suo condottiero e lo nomina, senza indugio, come Artù. Nennio è ritenuto dagli storici una fonte poco credibile per l’inserimento nella sua opera di molti temi mitologici, ma è lo stesso Nennio ad avvertire il lettore: sente l’esigenza di mettere per iscritto fatti che potrebbero essere dimenticati ma lascia a noi il compito di scremare la verità dalla fantasia.

Sotto, Beda il venerabile dalla cronache di Norimberga del 1493:


Quando parla di re Artù lo fa con gli occhi di uno storico e il racconto non è mai stravolto dall’intrusione di elementi fantastici, anzi racconta semplicemente che il condottiero Artù guidò la battaglia e la vittoria dei Britanni contro gli anglosassoni. Niente altro. Oltre a Nennio, vi è un’altra fonte storica che cita il condottiero come Artù: gli Annali del Galles. Per molti la risposta alla storicità del condottiero Artù sta nel nome stesso del mitico re. In celtico la parola arth significa orso e la dea della caccia Artio, spesso veniva rappresentata nelle sembianze di un orso.


Forse il condottiero di Badon Hill aveva sul suo stendardo l’immagine di un orso?

Ammesso questo, non si andrebbe ad identificare un uomo ben preciso, sebbene alcuni lo individuerebbero nel condottiero Aureliano Ambrosio e altri nel comandante Lucio Artorio Casto. Ciò che allontanerebbe l’ipotetica storicità del re di Camelot dai due candidati è il periodo storico in cui essi vissero: Lucio Artorio Casto opera nel II secolo quindi lontano dai fatti che interesserebbero re Artù. Ambrosio Aureliano, visse intorno al 475 e, sebbene avesse riunito i popoli britanni contro i barbari invasori, ebbe una vittoria effimera perché già nel 477 (e nel 485 e ancora nel 495) la Cronaca anglosassone registra una nuova ondata di sassoni, quindi una sconfitta di Aureliano.

Sotto, il mosaico della Cattedrale di Otranto dove si legge la scritta “Rex Arturus”:

Grazie al condottiero di Badon Hill (516 d.C.) si ha invece un periodo di pace durato più o meno una generazione, non soltanto un paio di anni. Ritornando a Gildas, questi nel suo libro, a un tratto, si scaglia contro il sovrano Cuneglasus (suo contemporaneo) chiamandolo orso, e nella sua invettiva, sotto metafora, gli dice di non comportarsi come si addice a una persona del suo rango al comando come di un qualcosa di molto importante, quasi sacro, che un tempo era appartenuto all’orso. È questa la chiave secondo lo storico Graham Philips per svelare il mistero: Cuneglasus era chiamato orso da Gildas perché aveva ereditato quell’appellativo dal suo predecessore nonché padre:

Re Owain Ddantgwyn

Usanza celtica, infatti, era quella di dare alle personalità più importanti nomi di animali che ne denotassero tratti del carattere e della personalità. Questi nomi venivano poi tramandati nelle generazioni. È probabile che Gildas si fosse rivolto a Cuneglasus chiamandolo con l’appellativo che aveva ereditato dal padre: Artù quindi sarebbe stato l’appellativo di Owain Ddantgwyn, re del Powys.

Per alcuni studiosi non ci sarebbero più dubbi: re Artù è la figura storica realmente esistita del re Owain. Per molti altri accademici, invece, l’individuazione di un unico personaggio dietro re Artù resta confusa. L’ipotesi accettata è quella che la figura del mitico re raccolga in sé l’operato di condottieri che realizzarono le imprese attribuite a re Artù: dall’unione di personaggi storici e leggendari avrebbe preso forma il vero re Artù, quello che oltre i secoli, a prescindere dalle lotte tra gli accademici, ancora regna nella nostra memoria.

In conclusione:
Il nome Artù, che come nome proprio di persona risulta storicamente attestato nella Pietra di Artù, in lingua celtica continentale significa orso, simbolo di forza, stabilità e protezione, caratteri anche questi ben presenti in tutta la leggenda. Un’interessante ipotesi è stata recentemente prospettata da alcuni storici britannici consulenti dell’ente televisivo statale BBC circa l’origine del nome “Arthur”. Esso, a loro dire, potrebbe infatti derivare dall’unione del termine bretone “Arth” (che significa “Orso”), con l’analogo termine di derivazione latina “Ursus”. Dal vocabolo ancestrale “Arth – Ursus” sarebbe derivato “Arthur”. Nella civiltà celtica gli uomini avevano come nome proprio quello di un animale che sceglievano per sottolineare un tratto fisico o caratteriale, e l’orso è l’animale simbolo per eccellenza della regalità. Anche sulla base del suo nome, una scuola di pensiero ritiene che la figura di Artù non abbia nessuna consistenza storica e che si tratterebbe di una semi-dimenticata divinità celtica poi trasformata dalla tradizione orale in un personaggio realmente esistito, come sarebbe accaduto per Lir, dio del mare, divenuto poi re Lear. In gallese la parola arth significa “orso” e tra i celti continentali (anche se non in Britannia) esistevano molte divinità-orso chiamate Artos o Artio. È probabile che queste divinità siano state portate dai Celti in Britannia. Va anche notato che la parola gallese arth, quella latina arctus e quella greca arctos significano “orso”. Inoltre, Artù è chiamato l'”Orso di Britannia” da alcuni scrittori. “Arktouros” (“Arcturus” per i Romani, e “Arturo” in italiano), ovvero “guardiano dell’orsa”, era il nome che i Greci davano alla stella in cui era stato trasformato Arkas, o Arcade, re dell’Arcadia e figlio di Callisto, che invece era stata trasformata nella costellazione dell’Orsa Maggiore (“Arctus” per i Romani). Altre grafie esistenti del suo nome sono Arzur, Arthus o Artus. L’epiteto di “Pendragon” gli viene invece dal padre, Uther Pendragon.

Prima leggenda su Re Artù
Goffredo di Monmouth fu il primo a citare re Artù nel suo libro Storia dei re di Britannia.
Ben presto i suoi racconti sui nobili re britannici, sorti tra il 1149 e il 1151, si diffusero in tutto il mondo cristiano dell’epoca. Artù era, secondo l’immagine che ci ha lasciato Goffredo, un re radioso, il cavaliere ideale, l’incarnazione della lealtà e della magnanimità, un Salomone redivivo che nel suo castello di Camelot aveva riunito i migliori cavalieri del mondo.
Solo un’invenzione poetica?
È noto che un anonimo del XII secolo, passato alla storia come “il maestro di Artù”, ha rappresentato una parte della storia di questo sovrano nell’archivolto del portale nord della cattedrale di Modena, chiamato "porta della pescheria" . Vi sono scolpite le parole “Artus de Bretania”. La scena raffigura la liberazione della regina Ginevra, moglie di Artù, dal castello del gigante Caraoc. Nell’ambito delle arti figurative, questa è la prima raffigurazione di Artù, realizzata tra il 1110 e il 1130 e ciò dimostra che i racconti di Goffredo di Monmouth si basano su un racconto precedente, non inventato da lui stesso. Ma quanto era veritiero quel racconto?
Nel 1165 il maestro Pantaleone realizzò ad Otranto il famoso pavimento a mosaico. Vi sono raffigurati Alessandro Magno, alcune divinità greche e Re Artù, indicato come “Arturus Rex”, a cavallo di un animale simbolico simile ad una capra.
Re Artù storico
Grazie ad una tradizione culturale di chiara impronta orale, le antiche storie celtiche sono state tramandate nei secoli a livello popolare; Goffredo di Monmouth le trascrisse nel suo libro “Storia dei re di Britannia”.
Nella sua opera l’autore ci dice che Artù era figlio di Utherpendragon e nipote di Aurelius Ambrosius, che secondo fonti certe fu comandante dell’esercito britannico nel V secolo d.C.
Aurelius Ambrosius nel 410 combattè contro gli invasori Sassoni; nello stesso anno i Goti, comandati da re Alarico, assediarono Roma rapinando il tesoro del Tempio di Gerusalemme (che includeva tra l’altro il famoso candelabro a sette bracci) conquistato dall’imperatore romano Tito nel remoto 70 d.C.
Re Artù il sovrano britannico?
Fu un’epoca ricca di avvenimenti significativi per il Cristianesimo,promosso a religione di stato solo nel 381 d.C. sotto l’imperatore Teodosio I. In seguito agli attacchi dei pagani (Goti e Sassoni) nella Britannia regnò il caos. C’era quindi la necessità di un sovrano carismatico e Artù, con il suo essere guerriero e leale, poteva in effetti apparire come un re prescelto da Dio.
Gli studiosi Graham Philips e Martin Keatmann hanno scoperto di recente che il nome Artus era il titolo onorifico portato da Owain Ddantgwyn, figlio di un re del Gwynedd, l’antico Galles, definito “testa di drago”, da cui deriva il nome celtico “Pentagron”.
Owain era il più potente sovrano della Britannia e morì nella battaglia di Camlann nel 519 d.C., il luogo in cui, secondo Goffredo di Monmouth, morì Artù. Anche l’abate Adamann riporta nella sua “Vita di San Colombano” che re Artù, cadde nella battaglia di Camlann.
Nell’Historia Britonnum di Nennio (dell’VIII sec.) si legge che il sovrano avrebbe resistito coi suoi sudditi, di civiltà romana, agli invasori sassoni.
Con la sua morte scomparve l’ultimo sovrano della Britannia riunita, risvegliatasi dopo il dominio dell’impero romano; si diffuse così la leggenda nazionale e nostalgica dell’ultimo grande re della Britannia, dei suoi valorosi cavalieri e della Tavola Rotonda.
La famosa Tavola Rotonda fu istituita, secondo Goffredo di Monmouth, al solo scopo di diffondere ovunque la verità sul Sacro Graal. Per questa ragione vi potevano sedere solo i migliori cavalieri del paese che venivano anche chiamati i cavalieri del Graal.
Vi era inoltre un posto che non veniva mai occupato. Solo il cavaliere “puro e autentico” avrebbe potuto sedervisi rimanendo illeso. Secondo la leggenda il cavaliere più giovane, Sir Galahad figlio di Sir Lancillotto, lo occupò inconsapevolmente senza che gli accadesse nulla.
Egli era il più nobile e il più puro dei cavalieri e in quanto tale, l’unico in grado di trovare e giungere direttamente al Graal; il solo, oltre a re Artù, capace di estrarre dalla roccia la magica spada Excalibur.

Ginevra e Lancillotto
Anche la figura di Mago Merlino, maestro di Artù, è ispirata a un druido realmente vissuto. È certa infatti l’esistenza di un druido chiamato Myrddin, indovino e poeta del VI secolo.
Merlino era probabilmente un maestro di bottega, la cui scienza, in tempi molto lontani, poteva apparire soprannaturale alle popolazioni primitive del sud dell’Inghilterra. L’istituzione della Tavola Rotonda, nata per la ricerca del Graal, è a lui attribuita. Nella sua figura sono pienamente riconoscibili i contrassegni del sacerdozio e insieme la conoscenza di un sapere segreto.


Nelle vicinanze della foresta di Brocelandia dove, secondo la leggenda, è sepolto mago Merlino, si trova la cappella di Tréhorenteuc.
Tra il 1942 e il 1962, su indicazione del prete cattolico della comunità, nella cappella sono state dipinte tre insolite vetrate.
Sulla vetrata centrale è rappresentato il Graal avvolto dalle fiamme. Ha la forma di un calice color turchese e risplende al centro della composizione. Due angeli dispiegano un cartiglio: “ Il calice con il mio sangue”, sotto al quale sono raffigurati Cristo e Giuseppe d’Arimatea.
Le altre due vetrate raffigurano il Graal sulla Tavola Rotonda di re Artù. In questo caso è di colore verde perché simboleggia lo spirito Santo, ma è anche un riferimento allo smeraldo che Lucifero perse dalla corona nella sua caduta sulla Terra.
La ricerca del Sacro Graal e la rivelazione del suo segreto, compito assunto dai cavalieri della Tavola Rotonda, rappresenta la ricerca di un contenitore che dispensa e allo stesso tempo contiene la vita.


Damigelle in pericolo. Amore proibito e destinato a fallire. Battaglie epiche e avventure in caccia di strane creature. Questo è il mondo delle leggende arturiane e, al centro di tutto, c'è "il solo e unico re", Artù stesso che, secondo le storie, estrasse una spada da una pietra per diventare il più grande sovrano che la Britannia abbia mai conosciuto. Questo è il mondo che ha ispirato un'enorme quantità di letteratura, film, musica, danza e altri lavori artistici. L'opera di Wagner Tristano e Isotta segue la storia d'amore di due famosi amanti delle leggende arturiane; Tennyson ha immortalato Elaine di Astolat, una giovane dama che si innamora non ricambiata di uno dei cavalieri di Artù, nel suo poema "La Signora di Shalott" Ma chi era re Artù? Da dove provengono queste leggende? E per quali ragioni la letteratura arturiana è tanto accattivante per il pubblico moderno?

Un giovane re Artù si cinge della corona di Britannia.
Per favore, può il vero re Artù alzarsi?

Una domanda che ha preoccupato gli storici per secoli è se re Artù fu un vero personaggio storico oppure se fu completamente un lavoro d'invenzione. Le prove di un re Artù storico sono molto scarse. Tutto ciò che si conosce con certezza è che un uomo di nome Artù, o Arturus, guidò una banda di guerrieri nella sanguinosa resistenza contro forze di invasione, inclusi i Sassoni e gli Juti, intorno al V e VI secolo dopo Cristo - periodo sensibilmente antecedente il tempo in cui è posto re Artù nella maggior parte delle leggende medievali. Nella storia latina della Brittannia del IX secolo (la Historia Britonum), un monaco gallese chiamato Nennius menziona un condottiero chiamato Artù che combatté dodici battaglie contro gli invasori e che riuscì ad abbattere 960 uomini in una sola volta - un'esagerazione tipica delle cronache storiche. Alcune altre cronache gallesi del X secolo fanno anche riferimento a un capo chiamato Artù, altrettanto fiero e capace in battaglia.

Comunque, oggi sappiamo che il primo riferimento a un uomo riconoscibile come "re Artù" proviene da un'altra cronaca storica, scritta alcune centinaia di anni più tardi. Nell'Historia Regum Britanniae (Storia dei Re di Britannia, 1138) di Geoffrey di Monmouth, la struttura di base della leggenda arturiana è presente e in seguito altri, più tardivi autori costruirono le proprie storie su queste fondamenta. Geoffrey è il primo autore conosciuto a identificare Artù come re di Britannia ed è anche il primo a delineare la genealogia di Artù. Secondo Geoffrey, il padre di Artù, Uther Pendragon, è aiutato da uno stregone e profeta chiamato Merlino a impersonare un altro uomo per sedurne la moglie - da questo rapporto derivò il concepimento di Artù. Due altre cronache maggiori usano Geoffrey di Monmouth come fonte per abbellire la storia di re Artù e stabilire la leggenda che oggi ci è familiare. Nel XII secolo, un poeta normanno chiamato Wace basò il suo Roman de Brut(Storia di Britannia, 1155) sul lavoro di Geoffrey, aggiungendo alcuni elementi - come la speciale Tavola Rotonda creata per i baroni di Artù cosicché non dovessero discutere sulla precedenza e lo status ai loro incontri. Nel XIII secolo, un poeta inglese chiamato Layamon combinò le sezioni arturiane di Geoffrey e Wace ed espanse ulteriormente la leggenda. Così, per esempio, aggiunse una rivolta tra i baroni e i nobili, in competizione per il proprio status, che condusse alla creazione della Tavola Rotonda.

Ma qualcosa di tutto ciò è vero? La "storia", come genere, fu trattata differentemente nel periodo medievale. Mentre molte cronache del periodo registrano eventi provabili, altre abbelliscono, esagerano o distorcono la verità e alcune inventano addirittura per perseguire i propri scopi. Geoffrey di Monmouth afferma di star copiando un antico manoscritto, ma non c'è alcuna prova che Geoffrey fosse in possesso di tale fonte e potrebbe averla inventata per dare autenticità alla propria cronaca. Il fatto che parli di un re chiamato Artù non significa che tale uomo sia realmente esistito. Inoltre, "re Artù era reale oppure no?" non è necessariamente la domanda più interessante. Dal principio, l'uso delle leggende arturiane rivela tanto su coloro che adattarono le storie quanto sul "vero" Artù. Così, le sottocorrenti politiche del recente adattamento di Guy Ritchie - che esplora la povertà, l'oppressione e lo sfruttamento dei poveri da parte di coloro che detenevano il potere, rivolgendosi all'eguaglianza e alla rivolta - rivelano tanto sulle preoccupazioni ideologiche del mondo contemporaneo quanto sulla realtà del periodo medievale. Non sappiamo se Artù fu oppure no un personaggio reale, ma sappiamo che innumerevoli autori usarono le sue leggende per esplorare le proprie ansietà, i propri timori e le proprie speranze.

Le storie sul regno di Artù, col loro instabile cast di personaggi, sopravvivono in oltre cinquecento manoscritti prodotti in una moltitudine di linguaggi differenti, quaranta dei quali sono oggi conservati nella British Library. Essi furono popolari non solo tra gli uomini più ricchi (che sapevano leggerli), ma anche tra i membri più poveri della società, poiché le leggende viaggiarono nelle canzoni popolari e nella narrazione orale. Nelle cronache storiche, come quelle di Geoffrey di Monmouth e Layamon, il mondo di Artù è caratterizzato da violente battaglie e ci si preoccupa della politica del sovrano e della creazione della nazione inglese indipendente. Re Artù, il grande condottiero militare, è fondamentale nel fare della Britannia una superpotenza, qualcosa che le dinastie successive, come i Tudor, riconobbero e usarono per i propri fini, sostenendo di avere origini risalenti al leggendario leader per legittimare le proprie pretese al trono. Comunque, il mondo di re Artù che è meglio conosciuto oggi - con i suoi essere sovrannaturali, le sue belle donne, i tornei e le attività cavalleresche - proviene invece dalla tradizione francese del romanzo d'amore.

 Il romanzo d'amore è un genere medievaleche include narrative scritte in prosa o poesia che raccontano le avventure e gli exploit dell'aristocrazia. I romanzi, in questo caso, potevano includere l'amore romantico, ma non erano da esso definiti. Come genere, si occupava maggiormente dei singoli cavalieri e degli avvenimenti spesso fantastici che accadevano loro, piuttosto che della creazione della nazione inglese o della politica di governo. Molti dei più famosi momenti delle leggende arturiane furono inventati nel XII secolo dal poeta francese Chrétien di Troyes che scrisse numerosi romanzi d'amore arturiani. Per esempio, Chrétien è il primo autore a introdurre i famosi Cavalieri della Tavola Rotonda nelle leggende di Artù e, maggiormente importante, il primo a introdurre la famosa relazione tra Lancillotto e la moglie di re Artù, la regina Ginevra. Lancillotto è, secondo alcune versioni della storia, nato da una fata o, secondo altre, dalla famosa Signora del Lago. È uno dei migliori cavalieri di Artù, abile con la spada e la lancia, e in quasi tutte le versioni delle storie in cui appare, è assolutamente devoto al suo amore per la regina Ginevra e al suo servizio. La salva dalla morte innumerevoli volte, tanto da piegare a mani nude sbarre di ferro per soccorrerla. Il loro amore è una delle caratteristiche durevoli delle leggende arturiane; tuttavia esso contribuisce anche alla distruzione della Tavola Rotonda e alla caduta del regno utopico di Artù.

Un'altra marcata differenza tra le tradizioni storiche e il romanzo d'amore è che sebbene Artù sia solitamente almeno menzionato nei romanzi d'amore, egli non ne è il personaggio più importante. Le narrative storiche di Artù sono particolarmente interessate alla fondazione di Camelot, mentre i romanzi arturiani sono invece più preoccupati degli eventi che seguirono. Una volta che il regno di Artù è creato e funzionante, il ruolo di Artù si modifica leggermente: è essenziale per mantenere la pace nel suo regno e per fornire un governo stabile. È perciò spesso responsabilità di altri cavalieri raccogliere le sfide e partire in epiche ricerche in suo nome. Così, in Sir Gawain and the Green Knight, un poema inglese del XIII secolo, Artù e i suoi cavalieri sono a una festa di Capodanno quando, tutto a un tratto, arriva un gigantesco uomo verde su un altrettanto gigantesco cavallo verde, portando un ramo di agrifoglio in una mano e un'ascia nell'altra. Egli sfida Artù a un gioco di decapitazioni e sebbene in principio Artù accetti, suo nipote Gawain si farà avanti e chiederà di sostenere la sfida per conto di Artù. Il regno di Camelot ha bisogno di Artù alla guida e sarebbe difficile governare senza testa. Artù è anche assente da un altro episodio raccontato in innumerevoli romanzi: la famosa ricerca del Sacro Graal, la coppa che si credeva fosse stata usata da Gesù durante l'Ultima Cena e che poteva donare la vita eterna. Al posto di Artù, rimasto a casa a occuparsi del proprio regno, un certo numero dei suoi cavalieri raccolgono la sfida. Solo il virginale Galahad, figlio di Lancillotto, riuscirà nell'impresa e il fallimento di tutti gli altri presagisce l'inevitabile fine di Camelot e della sua Tavola Rotonda.

La morte di re Artù lascia aperti diversi finali nella sua leggenda.
Rimpianto e morte di re Artù

Questa imminente caduta diviene sempre più importante nelle leggende arturiane. Il tempo di Artù viene percepito come una specie di utopia, dove i cavalieri vivevano secondo regole cavalleresche e alti ideali. Ma chiunque legga queste leggende con un occhio allenato alla realtà del proprio paese e della propria società, deve comprendere che è un'utopia scomparsa da tempo. Camelot non durò per sempre e questa perdita segna molte delle storie arturiane.
Nel tardo Medio Evo, una parte crescente del pubblico che si dedicò ai testi cortesi in lingua inglese lo fece con nuove opere, specialmente scritti elegiaci riguardanti la morte di re Artù, per esempio la Alliterative Morte Arthure e la Stanzaic Morte Arthur. Lo scrittore del XV secolo Thomas Malory le inserì nella sezione finale della sua raccolta di leggende arturiane. Intitolate Le Morte d'Arthur, furono pubblicate nel 1485 da William Caxton, l'uomo che introdusse il processo di stampa in Inghilterra. Queste storie si occupano meno delle avventure e del soprannaturale, e più del rimpianto. I loro autori seguono gli eventi che hanno condotto alla scomparsa di Artù e del suo regno. La relazione tra Lancillotto e Ginevra è scoperta e Mordred, figlio di Artù, sfrutta il malcontento generato per reclamare il trono. Il regno si rivolta e alla fine Artù è ferito mortalmente sul campo di battaglia. In un tempo di disordini politici, guerra civile e malattie virulente come la peste, gli scrittori parvero desiderare un'età dell'oro in cui i principi della cavalleria fossero inculcati dal loro grande e potente re e in cui il governo del paese fosse stabile - nonostante sapessero che quei tempi, sempre che fossero mai esistiti, erano ormai passati per sempre.

Ma la morte di Artù non è necessariamente la fine della leggenda. Molti autori riportano un altro finale. Artù è trasportato nella mitica terra di Avalon da tre affascinanti damigelle e questi stessi scrittori insistono o semplicemente sperano che questo solo e unico re un giorno ritornerà per governare ancora. Sebbene re Artù non sia ritornato dalla morte, come i miti promettono, egli ha vissuto certamente in innumerevoli Aldilà prodotti dalla cultura popolare.
Notizie sull'autore


Hetta Elizabeth Howes è docente di Letteratura medievale e dell'inizio dell'età moderna alla University of London. Sta attualmente trasformando la sua tesi dottorale in una monografia, esaminando il ruolo dell'acqua come metafora letteraria nella prosa devozionale, con particolare enfasi su opere scritte per e da donne.
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Il testo è rilasciato sotto licenza Creative Commons Attribution 4.0 International, © Hetta Elizabeth Howes. Traduzione italiana © 2018, Gianluca Turconi.

altre fonti:

https://www.studiaregliufo.com/re-artu-mito-storia
https://www.letturefantastiche.com/le_leggende_di_re_artu.html
https://thedebater.it/luomo-orso-la-storicita-di-re-artu-di-britannia-i-film-le-cronache-medi/
http://sparklefrombooks.blogspot.com/2014/11/speciale-re-artu-la-leggenda.html
https://www.vanillamagazine.it/re-artu-qual-e-la-realta-storica-oltre-la-leggenda/

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