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Re Artù:La verità oltre la leggenda

il Sabba delle streghe

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venerdì 30 novembre 2018

Yule-solstizio d'inverno

Yule
Tradizione Rituale, Simbolismo cosmico
spirituale e celebrativo del Solstizio d' Inverno

Yule è il tempo della quiete, durante il quale la terra si riposa, prima della lenta rinascita. Per gli Antichi celti ,le celebrazioni a Yule iniziavano il 19 Dicembre, andavano avanti fino a raggiungere il loro culmine la notte del 21 Dicembre, la notte del Solstizio d’Inverno, la notte più lunga dell’anno, quando l’oscurità trionfa sulla luce prima di trasformarsi essa stessa in luce. Tali celebrazioni, proseguivano in maniera intensa anche nelle notti e nei giorni seguenti , il Solstizio Invernale, in particolare del 22,e del 23 Dicembre, per poi protrarsi e avere lentamente fine il 6 Gennaio.

Yule, per i Celti, rappresentava quindi un momento di rinnovamento, sia della terra, ma anche dello spirito ,e del corpo, un momento di passaggio, di transizione  tra le tenebre e la luce, con un’estrema valenza sia nel concetto cosmico, sia in quello religioso/ spirituale che, appunto i Celti avevano del tempo, e del ciclo delle stagioni.

Yule è il risveglio della natura. Il tempo di lasciar andar via il passato, e liberarsi di tutti i dubbi, gli incubi, e le paure che fin lì ci hanno attanagliato, per poi dirigersi verso un nuovo cammino, chiedendo alla Madre Terra di aiutarci a diventare persone migliori, a superare tutte le avversità, sia quelle vecchie, sia tutte quelle che, dovessero mai presentarsi da lì in poi.  Yule è il ritorno della speranza e della vita. L’opportunità per piantare i semi del cambiamento.

Yule:


Di origine germanica ma diffusasi presto anche nelle Terre Celtiche, Yule era la festa del fuoco e della luce che si celebrava durante il Solstizio d'Inverno per aiutare il sole nella sua lotta contro le forze dell'oscurità. Tra norreni e germani la festa assumeva un carattere oscuro con animali sacrificati e tanto sangue versato, con Odino sul suo bianco destriero e il corteo di guerrieri fantasmi per esigere il sacrificio di vite umane in una caccia spettrale, ma era anche il periodo di canti e danze, di banchetti e di colossali bevute per "fare il giorno di notte" ossia per portare luce e calore nel cuore gelido dell'Inverno.

 La sua etimologia ,che probabilmente deriva dal norreno “Hiol” cioè ruota, si collega alla ruota della vita che proprio la notte del solstizio d'inverno si trova nel suo estremo inferiore, quando le ore di buio prevalgono su quelle della luce, appena  prima però che essa  ricominci la sua risalita.

E' infatti che, dall'Alba del 21 dicembre ,solstizio d'inverno, che  il Dio sole inizierà a far  notare la sua presenza in cielo sempre di più giorno dopo giorno, e la natura, lentamente, si prepara ad accogliere la meravigliosa Primavera.

Yule,in quanto festa del Sole, veniva dunque celebrato dai Celti attraverso il fuoco, la notte del Solstizio D’Inverno, uno dei quattro sabba Solari, insieme a Oestara (Equinozio di Primavera, Lithà Solstizio d’Estate ,e Mabon Equinozio d’Autunno.

Nelle saghe Celtiche si narra che, a Yule durante la notte del solstizio d’inverno loro il Re Oscuro, o vecchio sole morente, si trasformasse nel Sole Bambino, tramite la rinascita dalla Dea, la Madre Terra. I celti consideravano il Re Sole Oscuro come un sole-ombra, mentre il vero Sole, quello Bambino, era prigioniero di Arawan, re del mondo-di-sotto, che sarebbe rinato dal grembo di Ceridwen, la dea-strega dell’inverno, proprio all’alba del solstizio.

Yule, in una leggenda Neo-pagana, rappresenta la morte di Holly King (“Re Agrifoglio”) simbolo dell’anno vecchio e del sole in declino, per mano di Oak King (“Re Quercia”)che gli succederà come anno nuovo e sole in rinascita.

Ma non solo I Celti festeggiavano questo sacro momento, altri popoli celebravano questo passaggio dall’oscurità alla luce, ognuno legato al proprio Dio e a delle date ben precise:

gli antichi greci ad esempio, rendevano omaggio al Dio Kronos per assisterlo nella battaglia contro Zeus e i titani, i romani, festeggiavano Saturno (che corrisponde a Kronos). Per loro la festa Saturnalia iniziava il 15 dicembre e finiva il 1 Gennaio,i sassoni: celebrano Modranect, 24 e 25 dicembre, la notte della Dea Madre e la nascita del sole.

I nostri antenati, celebravano quindi con gioia questo avvenimento, poiché si dava il benvenuto al Dio Sole, colui che, genera la vita e riscalda la terra congelata. Tali celebrazioni consistevano nell’accensione di grandi falò, intorno ai quali ci si riuniva per ballare, e brindare con del Sidro. I bambini venivano accompagnati di casa in casa per portare i doni tipici del periodo, come  mele o arance in cui venivano conficcati dei chiodi di garofano, questi frutti poi, venivano posti in tronchi di piante sempre verdi insieme a grano e farina. Venivano scelte arance e mele perché secondo la tradizione esse rappresentavano il Dio Sole, mentre i sempreverdi simbolicamente indicavano l’immortalità, il grano  e la farina invece l’abbondanza e la luce.

Simbologia e Tradizioni rituali di Yule

La tradizione di Yule prevedeva la raccolta del famoso tronco di legna, che, di solito veniva effettuata dal capofamiglia, ma in alternativa, lo si poteva anche ricevere  in dono, mentre invece era severamente vietato comprarlo. Tale raccolta, secondo l'usanza, solitamente veniva effettuata nove giorni prima del Solstizio d'Inverno, notte in qui poi il ceppo veniva bruciato. Tale cerimonia aveva come scopo quello di onorare  la morte del vecchio Sole ,e la rinascita del Nuovo Sole, che si auspicava, avrebbe portato con se fortuna e prosperità per tutto l'anno.

Il ceppo di legna in questione che, tradizionalmente doveva essere di quercia o di frassino, prima di venir messo sul fuoco, veniva, intagliato, sempre dal capo famiglia, dopodiché lo si cospargeva di sidro e farina per poter ardere tutta la notte, dopodiché, una volta spento all'alba del solstizio d'inverno, i suoi resti venivano o conservati, o magari sparsi sulla terra da coltivare in segno di futura fertilità.
Infatti era convinzione che, le ceneri del tronco bruciato nella notte del solstizio d'inverno se sparse, fungessero da protezione dagli eventi negativi (sparse nell’orto si riteneva proteggessero dai parassiti, oppure se sparse sulle travi si pensava proteggessero il tetto dai fulmini).

Inoltre, per tutto il tempo che precedeva il rito solstiziale di Yule, ogni volta che si ospitava qualcuno nella propria casa quest'ultimo era invitato a legare al ceppo un bigliettino, con sopra scritto i propri desideri e i buoni propositi per l'anno nuovo, bigliettini che poi venivano fatti bruciare insieme al ceppo la notte del solstizio, con l'auspicio di vedere poi avverati quei desideri, i resti del tronco poi andavano come prima detto conservati in segno di buon augurio, venivano considerati resti magici ergo si credeva che apportassero benefici un po' a tutto, salute , raccolti.


Esso adornato come buon auspicio di prosperità appunto, serviva a ricordare che nei rami secchi e scuri del bosco, la vita e l’abbondanza riposa, pronta ad esplodere in primavera. L’albero di Natale ha lo stesso significato . La presenza delle candele e delle luci sul ceppo e sull’albero servono ad attrarre e proteggere la Luce che nel Solstizio dovrebbe rinascere.

Quella del ceppo di Natale o ceppo natalizio o ciocco natalizio, è considerata una delle più antiche tradizioni natalizie .

Il tronco di Yule,o piccolo ceppo di Natale, come abbiamo già precisato, deve essere esclusivamente di quercia, o di frassino, ma può andar bene anche di pino o abete.

Fate nel vostro ceppo tre piccoli fori, dove poi andrete ad inserirete tre candele, fatto questo ,cospargete il tronco di birra o sidro, e farina, come la tradizione comanda. Dopo di che, accendete le tre candele. I colori delle candele hanno un loro significato in questo caso, e sarete voi a decidere i vari abbinamenti secondo le vostre esigenze.

Il rosso, il verde e il bianco rappresentano la stagione, quindi la festa di Yule;

Il verde, l’oro e il nero rappresentano il Dio Sole;

Il bianco, il rosso e il nero rappresentano la Dea.

Altri simboli di Yule sono i rami sempreverdi.

Elementi fondamentali delle celebrazioni del solstizio invernale. L'albero sempreverde, che mantiene le sue foglie tutto l'anno, era ritenuto simbolo della persistenza della vita anche attraverso il freddo e l’oscurità.

Chiamato anche L’Albero di Yule, esso per una famiglia rappresentava simbolicamente la fortuna la prosperità, proprio  quella fortuna e prosperità che essi si auguravano per il nuovo anno.

Altra ' tradizione, era  fare una ghirlanda di vischio e rami di abete o di agrifoglio per simboleggiare l'antica ruota del tempo che, era centrica nella cultura Celtica, 
Anche se cade nel momento più scuro dell'anno, Yule è un momento sacro e di pace. La concentrazione del singolo dovrebbe essere verso la famiglia, gli antenati, la pace e la serenità."

In Irlanda ancora oggi, dopo il periodo di Natale, si spezzano e si gettano fuori casa per simboleggiare la fine dell’oscurità e l’inizio della luce. 

Ghirlande di agrifoglio e vischio che poi venivano appese ai portoni, alle quali venivano abbinate candele dorate,  cesti di frutta cosparsi di chiodi di garofano (come già detto I chiodi di garofano si conficcavano anche nella frutta stessa, come  prevede la tradizione)

Il vischio pianta simbolo della vita, era considerata sacra soprattutto per i Druidi, in quanto discesa dal cielo, figlia del fulmine. Spesso viene unita alla quercia, simbolo dell’eternità, per formare una ruota attraverso cui passare per la rinascita. Oggi il vischio rientra nelle nostre tradizioni natalizie, per cui baciarsi sotto il vischio è un rito propiziatorio. vischio

Erbe di Yule:

Cardo, sempreverdi, incenso, agrifoglio, alloro, vischio, quercia, pino, salvia, cedro giallo.

Gli alimenti di Yule:

Biscotti e torte di cumino imbevuti di sidro, frutta, noci, piatti di maiale, tacchino, zabaione, tea allo zenzero, sidro speziato, Wassail o lana di agnello (birra, zucchero, noce moscata, mele al forno).

Incenso di Yule:                   

Pino, cedro, cannella.

Colori di Yule:

Rosso, verde, oro, bianco, argento, giallo, arancio.

Pietre di Yule:

Rubini, granati, smeraldi, diamanti.

Attività di Yule:

Bruciare il ceppo natalizio, decorare l’albero di Yule, scambio dei regali, baciarsi sotto il vischio in onore del Dio Sole, preparare un banchetto con varie pietanze da condividere con le persone care

Incantesimi di Yule:

Potete operare per donare pace ,armonia, amore e felicità.

Incenso di yule

2 parti di Franchincenso

2 parti di aghi o resina di pino

1 parte di cedro del Libano

1 parte di bacche di ginepro

Da bruciare per i rituali di yule ( 21 dicembre/1 gennaio) oppure nei mesi invernali per purificare la casa e allinearsi con le forze della natura nelle giornate fredde .



Spesso nell’antichità i popoli pensavano che, in quanto parte del cerchio della vita, ogni loro azione potesse influenzare i cicli del cosmo. Questo il motivo di tanti riti propiziatori che servivano per alimentare la “magia bianca" magia benevola.

Curiosità
Il solstizio di inverno come chiaro,era una festa molto sentita nel mondo celtico, e ci sono dei luoghi dove celebrare la festa e i riti legati ad essa risulta particolarmente suggestivo. Uno di questi è Newgrange, county Meath, dove il giorno di Yule il sole si allinea in un modo particolare da illuminare la camera interna, correndo lungo il corridoio. E pensare che questo miracolo di ingegneria e astronomia ha solo 5.000 anni! Ci sei mai stato? Per visitarlo il 21 dicembre devi visitarlo in un altro periodo dell’anno e partecipare alla lotteria.
Un altro luogo simile è Stonehenge, dove il 21 dicembre si raggruppano druidi moderni e orde di turisti per ammirare l’allineamento del sole con la porta principale del sito nel momento dell’alba.
Solstizio d'Inverno
Le festività natalizie che si svolgono nel cuore dell'inverno sono ricche di stratificazioni di credenze e rituali, antichi come l'alba dell'uomo. Il passaggio del sole nel cielo solstiziale, che segna il giorno più corto dell'anno, era accolto un tempo con grande timore nella paura che il gelo e l'oscurità potessero sconfiggere la luce.
IL DIO SOLE
La maggior parte dei popoli antichi considerava il sole come un dio e credeva che avesse bisogno di aiuto durante il solstizio, il giorno più corto dell’anno.
Immaginavano che il sole lottasse contro le forze del male e dell’oscurità, riuscendo pian piano a sconfiggerle, però non davano la vittoria per scontata.
Nelle terre del Nord venivano celebrati i rituali per assicurare la rinascita del sole, era la Festa di Yule: il fuoco, il fratello del sole, era al centro di tutte le feste invernali, la gente si mascherava con teste di cavallo, corna di cervo, pelli di daino e danzava alla luce del fuoco.
YULE
Di origine germanica ma diffusasi presto anche nelle Terre Celtiche, Yule era la festa del fuoco e della luce che si celebrava durante il Solstizio d'Inverno per aiutare il sole nella sua lotta contro le forze dell'oscurità. Tra norreni e germani la festa assumeva un carattere oscuro con animali sacrificati e tanto sangue versato, con Odino sul suo bianco destriero e il corteo di guerrieri fantasmi per esigere il sacrificio di vite umane in una caccia spettrale, ma era anche il periodo di canti e danze, di banchetti e di colossali bevute per "fare il giorno di notte" ossia per portare luce e calore nel cuore gelido dell'Inverno.
Presso i norreni si venerava Freyr (che significa semplicemente Signore, latinizzato in Fricco oppure anglicizzato in Frey), dio della bellezza e della fecondità equivalente per molti aspetti al Lug celtico. Nel mezzo dell'inverno gli si dedicava la grande festa di Frdblod, "il sacrificio di Freyr" in cui i guerrieri, riuniti nella grande casa del capo, uccidevano i loro cavalli e il sangue era spruzzato sul pavimento e sulle teste dei presenti. 
IL SACRIFICIO DI SANGUE
Nell'Edda in prosa è descritto insieme alla sorella Freyia "Erano belli d'aspetto e potenti. Freyr è il più nobile fra gli Æsir; egli governa la pioggia e lo splendore del sole, e quindi i frutti della terra. È bene invocarlo per le messi e per la pace. Egli ha potere sulla prosperità degli uomini."
In realtà il Mondo a cui appartenevano i due fratelli era quello dei Vanir, gli Æsirerano gli dèi del cielo e della potenza guerriera; mentre i Vanir erano legati alla terra, alla fecondità e al piacere, dopo la guerra tra le due stirpi Freyr e Freyia andarono come ostaggi presso gli Æsir.
Durante la grande festa di Frdblod, "il sacrificio di Freyr" una coppa di sangue veniva passata di mano in mano e solo dopo che tutti avevano bevuto iniziava il grande banchetto. L'usanza del sacrificio rimase nell'abitudine inglese di far sanguinare i cavalli nel giorno di Santo Stefano, santo che finì per assumere alcune caratteristiche di Freyr, e così lo vediamo raffigurato nella pittura svedese a cavallo, mentre porta una testa di cinghiale per il banchetto natalizio. Evidentemente si sacrificavano anche cinghiali in onore del dio della fertilità che peraltro aveva un cinghiale dalle setole dorate, dono dei nani, per trainare il suo carro (il prosciutto di Natale è il piatto super-tradizionale della Svezia). continua
In Irlanda per il giorno di Santo Stefano si svolgeva la caccia dello scricciolo, un rituale pan-celtico ancora praticato il 26 dicembre: secondo la tradizione celtica lo scricciolo era il simbolo di Lugh, Figlio della Luce trionfante e il suo sacrificio, un tributo in sangue agli spiriti della Terra nel Solstizio d’Inverno, era una supplica per ottenere favori e fortuna, ma anche un sacrificio solare (la luce che riprende vigore dopo il solstizio riceve energia dal sangue del suo simulacro). L’uccisione dello scricciolo e la distribuzione delle sue piume avrebbe portato salute e fortuna agli abitanti del villaggio. continua
E ancora il ricordo dei sacrifici e del sangue versato si rievoca nell'hoodening: una testa di cavallo (una testa di legno dipinta anche con vividi colori i ma anche un teschio) e un mantello condotta per le strade del villaggio da un "domatore" che la tiene per le briglie. continua
IL CEPPO DI YULE
Da quelle lunghe notti arriva la tradizione del ceppo di Natale, un grosso tronco (detto ceppo di Yule - in inglese Yule log) portato in casa il giorno di Natale che doveva bruciare lentamente per le 12 notti in cui durava la festa!
Il tronco era preparato alla vigilia della festa seguendo dei precisi cerimoniali (tagliandolo per lo più da una vecchia quercia), con canti e benedizioni, e decorato con nastri e sempreverdi (a volte bagnato con del sidro). Si portava in casa per sistemarlo nei grandi camini e si manteneva acceso fino all’Epifania: quel ceppo proteggeva la casa dagli incantesimi delle forze maligne; le ceneri erano sparse sopra i campi per renderli fertili. I resti del ceppo, venivano anche conservati per poter poi alimentare il fuoco che avrebbe arso il ceppo dell’anno seguente.
Ai nostri giorni con camini e stufe troppo piccoli per il ceppo di Yule, chi volesse celebrare la festa secondo le vecchie tradizioni, potrebbe decorare un tronchetto con candele e sempreverdi (nastri, pigne e bacche) e trasformarlo in un bel centro tavola che illumini le cene delle festività natalizie. Continuando con la tradizione tra i dolci che richiamano lo yule log non può mancare il "Buche de Noel" ancora oggi il dolce tipico della tradizione natalizia francese.
In tutti i paesi bagnati dal Mediterraneo e governati da Roma, il fuoco bruciava sotto forma di candele durante le feste dei Saturnali. Si adornavano le case con agrifoglio, edera e vischio: per sostenere il sole morente dell’Inverno. Il sempreverde era la speranza della vittoria del Sole e del rinnovarsi della vita contro le forze del male e dell’oscurità. continua



Brano tratto da “L’Ontano Magico”

La Leggenda di Re Agrifoglio e Re Quercia.
In un’antica leggenda celtica, legata al Solstizio d’inverno, si confrontano Re Quercia e Re Agrifoglio. Il Re Quercia è legato alla parte crescente dell’anno, alle giornate che si allungano, al risveglio della Natura, alla crescita, all’energia mossa verso l’esterno. Al contrario, Re Agrifoglio, più anziano e saggio, governa la parte calante dell’anno, caratterizzata da giorni più corti, notti più lunghe, dal tempo della maturazione, del ripiego, dell’energia volta verso l’interno. Giunti ai tempi del Solstizio, i due re si dichiarano lotta per sapere chi governerà l’altra metà dell’anno. Durante il Solstizio d’Inverno è il re Quercia a prevalere sul Re Agrifoglio. Nel momento in cui la forza dell’avversario è al culmine (notte più lunga dell’anno), comincia il suo declino, lasciando spazio al ritorno della Luce, del sole e dell’estate. Il Re Quercia vincerà per permettere alla Terra di rifiorire e produrre frutti, conquistando il favore e l’amore della Dea con cui si unirà a Beltane (notte fra il 30 Aprile e il 1 Maggio) e da quell’unione nascerà nuova vita. Al contrario, durante il Solstizio d’estate, sarà il Re Quercia a soccombere affinchè la Terra possa sfiorire e riposarsi, preparandosi a un nuovo Ciclo.
Una delle tante vie attraverso le quali nelle antiche culture venivano rappresentate la dinamica vita-morte-rinascita e la Ciclicità della vita naturale e spirituale. In alcuni miti si dice che la forza sconfitta dimori, nei sei mesi successivi, presso la dea Arianrhod.


Le 13 Notti di Yule

Le Tredici Notti che vanno dal 24 dicembre al 6 di gennaio rappresentano un periodo spiritualmente importante. Le tradizioni legate a questo speciale momento dell’anno sono diverse, oggi le abbiamo dimenticate e sono rimaste sepolte dalla modernità frenetica e dall’atmosfera di sfrenata baldoria che caratterizza le feste di fine anno.
A differenza di quello che ci viene implicitamente richiesto dalla società, questo momento dovrebbe essere dedicato all’introspezione più profonda, al fine di ricevere intuizioni che possano guidarci attraverso l’anno nuovo che sta per cominciare.

Il neopaganesimo ha riportato la festa di Yule a nuovo splendore, scrollandole di dosso l’aura poco ortodossa di oscuri rituali nazisti che l’avevano intorbidita per decenni e restituendole la sua funzione originaria di tappa importante nel calendario indoeuropeo. La Wicca, odierna religione delle streghe sviluppatasi nel mondo anglosassone e strettamente legata alla natura, annovera Yule fra le otto feste principali dell’anno. La notte buia ed estremamente lunga del solstizio d’inverno ha lasciato dietro di se´ il sacrificio estremo del dio del Sole morto nelle viscere della Terra dopo aver fecondato la dea e, al contempo, il miracolo nascosto che si ripete annualmente, la crescita di un embrione divino nel grembo generoso della Madre
Nell’antichità i momenti di passaggio erano vissuti in modo diverso rispetto a oggi. Era risaputo, infatti, che fossero periodi delicati, che non appartenevano né a un tempo né a un luogo precisi. Pertanto, erano accompagnati con rituali appositi volti ad allontanare quanto di maligno potesse interferire con la sacralità del momento. Le Tredici Notti facevano – e fanno ancora – parte di un momento sacro: sono giorni a cavallo tra l’anno vecchio e quello nuovo, motivo per cui in passato ci si dedicava alla purificazione. Ecco che, allora, si accendevano fuochi (si vedano per esempio il falò di Yule e la tradizione del ceppo natalizio, di cui abbiamo già parlato), si rifletteva e si lasciava che il passato scivolasse via per accogliere a braccia aperte il futuro. 
Una delle attività maggiormente svolta in questo periodo dell’anno era la filatura, a voler simboleggiare l’atto di prendere in mano i fili della propria vita, rivvolgerli e filarne di nuovi. I doni che oggi ci scambiamo durante le festività, un tempo erano unicamente simbolici: il compito di consegnare strenne e regali era relegato a figure femminili – come per esempio la Befana – e più tardi maschili (Babbo Natale) solo nelle favole da raccontarsi intorno al focolare. Nella realtà, invece, rappresentavano i doni ricevuti durante l’anno, le cose per cui essere profondamente grati e di cui fare tesoro anche nell’anno venturo.

Le Tredici Notti Sante” è, inoltre, il titolo di una conferenza tenuta da Rudolf Steiner ad Hannover il 26 dicembre 1911. In essa, Steiner fece cenno a un’antica saga conosciuta in Norvegia come “Il canto del sogno”. Tale saga è esemplificativa di questo periodo dell’anno e ne riassume la simbologia. Diceva Steiner: «Essa è la leggenda che in modo meravigliosamente bello ci racconta di come Olaf Asteson venga iniziato — mediante forze naturali — allorché egli cade addormentato la sera di Natale, dorme durante i tredici giorni e le tredici notti fino al 6 gennaio e vive tutte le vicissitudini che l’essere umano deve sperimentare attraverso le incarnazioni dall’inizio del mondo fino al Mistero del Golgota. Racconta di come, avvicinandosi al 6 di gennaio, Olaf Asteson abbia la visione dell’intervento nell’umanità dello Spirito-Cristo, di cui lo Spirito-Michele è il precursore. 
Il poema racconta di come, in questo sogno durante i tredici giorni e le tredici notti, Olaf Asteson venga condotto attraverso tutto ciò che l’uomo deve esperire a causa della tentazione luciferica.
Così […] diverrà sempre più possibile per gli uomini riconoscere come le forze spirituali intessono e agiscono, e come le Feste non siano state istituite da un arbitrario capriccio, ma dalla saggezza cosmica che opera nella storia quasi sempre senza che gli uomini ne siano coscienti.»

https://www.facebook.com/druidielecreaturedelbosco/posts/1504924233038074

mercoledì 28 novembre 2018

leggende delle terre celtiche

il Drombeg Stone Circle
Strani cerchi di pietre si trovano su tutte le verdi colline ondulate dell'Irlanda, sono i resti di misteriosi siti di culto in cui venivano svolti antichi rituali.
Tra questi il piu' visitato è il Drombeg Stone Circle nella contea di Cork, noto anche come l'Altare dei Druidi.
Il cromlech di Drombeg è composto da 17 monoliti regolarmente distanziati, che formano un cerchio chiuso di 9 m di diametro. L'entrata di questo cerchio è segnata da due pietre più alte, situate di fronte ad un altare che, il giorno del solstizio d'inverno, viene colpito dai raggi del sole al tramonto. Nelle vicinanze si trova una fossa di cottura dove venivano sistemate pietre riscaldate nel fuoco per far bollire l’acqua.
Il sito archeologico è stato datato tra il 153 a.C. e il 127 d.C. e gli scavi del 1957 e del 1958 portarono alla luce diverse ossa cremate custodite in un contenitore a forma di pentola avvolto da un panno spesso.

Il Biancospino
Secondo la mitologia irlandese se si nota un biancospino solitario al centro di un campo o sulla cima di una verde collina, è probabile che si tratti dell'entrata in una casa delle fate (fairy), proprio per questo, i biancospini solitari, continueranno sempre a vedersi per tutta l'Irlanda, perche' nessun proprietario terriero che discenda da antiche famiglie locali avrà mai il coraggio di tagliare neanche un solo ramo...

Uno gnomo in giardino
(Leggenda olandese)

Nell'Olanda del Nord viveva un modesto mugnaio che lavorava da mattina a sera per soddisfare i bisogni della sua famiglia.
Una volta, mentre era intento al lavoro, udì una vocina che chiedeva disperatamente aiuto. Il mugnaio si precipitò nella direzione da cui proveniva l'invocazione e, con grande stupore, vide un esserino simile a una bambola che stava per essere schiacciato dalla macina del mulino. Senza pensare ai danni che avrebbe potuto subire, immediatamente l'uomo allungò un braccio traendo in salvo la piccolissima creatura.Appena l'ebbe tra le mani, si accorse che si trattava di una gnoma. La minuscola donna lo guardò ancora tremante; il mugnaio l'accarezzò con la sua mano callosa delicatamente, quasi per paura di farle del male.
La gnoma si tranquillizzò, gli sorrise e poi fuggì via, lasciando l'uomo col dubbio di aver sognato ogni cosa.Trascorsero solo pochi minuti quando ecco riapparire la gnoma, seguita da tanti ometti simili a lei. Il più anziano disse al mugnaio:
- Hai salvato la vita a mia moglie perciò noi ti saremo grati per tutta la vita. Se ci permetterai di abitare nel tuo mulino non avrai mai a pentirtene.
L'uomo, ancora sbalordito, riuscì solo a balbettare: - Ma... sì, certamente. Restate finché volete...
Da quel giorno la famiglia degli gnomi stabilì la sua dimora in mezzo alle scure, tiepide travi del mulino a vento.Gli ometti stavano attenti che non scoppiassero incendi e avvertivano il loro amico del sopraggiungere di temporali o di bufere di neve; il mugnaio poteva legare così le pale del mulino ed evitare danni.Se qualcuno dei familiari del mugnaio si ammalava, lo gnomo portava erbe medicinali capaci di curare ogni malattia. A volte bastava che appoggiasse la sua piccola mano rugosa sulla fronte dell'ammalato perché questo guarisse immediatamente.
Insomma andava tutto bene al mulino e anche a livello economico il mugnaio non aveva più alcun problema.
Il suo benessere e la sua tranquillità suscitarono l'invidia di alcuni vicini, i quali misero in giro la voce che l'uomo si dedicava alla magia nera. C'era gente che non prestava orecchio a questi pettegolezzi, ma le chiacchiere comunque continuavano alienando molte simpatie al mugnaio e ai suoi familiari.
Nella casa di uno dei vicini più gelosi e maldicenti abitava Lisa, una bambina di undici anni, con le trecce bionde come il grano. Era una ragazzina dolce e paziente; conosceva tutto sugli animali e sulle piante e riusciva a modellare l'argilla con rara abilità. Il suo animo gentile e la sua disponibilità verso gli altri rendevano difficile credere che fosse figlia di genitori così gretti e di mentalità tanto ottusa, ma purtroppo a volte capita.
La graziosa ragazza aveva sentito tutte le storie che circolavano nel suo villaggio sul mugnaio e sulla sua fortuna. Aveva subito capito che il benessere di quell'uomo e della sua famiglia era opera degli gnomi e non della magia nera, come gli altri volevano far credere.
Più di ogni cosa al mondo Lisa avrebbe desiderato avere uno gnomo tutto per sé; ma questo non era possibile perché, a causa dei suoi insopportabili genitori, i magici omini non si sarebbero mai fermati in casa sua.
Un giorno la ragazza modellò con l'argilla uno gnomo a grandezza naturale e lo portò a cuocere nel forno del vasaio, che fu felice di poterle fare un favore.
Quando l’ebbe riavuto, Lisa dipinse il cappello dello gnomo di blu, la blusa di rosso e i calzoni di verde come gli stivali. Intagliò anche nel legno una piccola carriola e la sistemò con la statuetta nel giardino di casa. I suoi genitori risero di tutto questo, ma non osarono togliere la statua. Gli gnomi del mulino corsero subito nel giardino di Lisa a vederla, appena lo vennero a sapere. Si commossero molto e, per dimostrare alla ragazza la loro simpatia e gratitudine, ogni mese da quella volta le portarono un regalo.Col passare degli anni la dolcezza e la forza di carattere della giovinetta ebbero un'influenza così benefica che i suoi genitori diventarono più aperti e generosi. Come risultato e con una certa fortuna, divennero anche più ricchi.
Ma come sempre ci furono quelli che interpretarono tutto questo a modo loro e cominciarono a dire in giro: - Chi ha una statua di gnomo nel giardino diventa ricco.
Tutte sciocchezze, lo capirete bene. Ma idee del genere trovano terreno fertile tra la gente.
E perciò da allora è nata la tradizione in alcune famiglie di mettere in giardino la statua di uno gnomo, con o senza carriola, in attesa della buona fortuna!


Fonte
https://www.riflessioni.it/miti-leggende-fiabe/gnomo-giardino.htm


Il Chalice Garden
Nel cuore di Glastonbury, adagiato ai piedi della magica collina del Tor, un luogo fatato e misterioso accoglie il visitatore in una cornice idilliaca di lussureggiante vegetazione e fresche sorgenti di acque curative. È il "Chalice Garden", il "Giardino del Calice", ed è riferito al “calice” per eccellenza: il Santo Graal. La leggenda, infatti, narra che Giuseppe di Arimatea, giunto in questi luoghi da Gerusalemme, abbia nascosto nel pozzo scavato ai piedi del colle il calice che aveva portato con sé, quello utilizzato da Gesù durante l’Ultima Cena e nel quale egli successivamente aveva raccolto il sangue di Cristo. Questo calice, una volta entrato in contatto del sangue del Signore, aveva acquisito delle capacità straordinarie, miracolosi poteri di guarigione a chi ne avesse bevuto, diventando il leggendario Graal, protagonista nel Medioevo di una vasta letteratura. Non appena le acque della sorgente di Glastonbury entrarono a contatto con il sacro calice, ne acquisirono i suoi poteri curativi e si tinsero di rosso, come sangue. Anzi, in determinati periodi dell’anno la sorgente sgorga con tale veemenza che il rumore dei suoi fiotti ricorda il battito di un cuore umano.
Questa è la leggenda che sta alla base del Chalice Well. L’acqua della sorgente ha, effettivamente, un colorito rossastro, dovuto all’alto contenuto in ferro, e i visitatori del Giardino ne attingono direttamente con dei bicchieri oppure ne riempiono bottiglie di varie misure che sono vendute per poche decine di penny presso la biglietteria.
Il Giardino del Graal è un posto ideale per la meditazione: sotto i folti alberi e negli spazi appositi il silenzio e la pace sono una regola fondamentale, richiesta ad ogni visitatore e devotamente rispettata. Sono soprattutto tre i luoghi designati per la meditazione: la Corte di Re Artù, la Fontana del Leone e, ovviamente, il Pozzo del Calice.
Subito dopo l’ingresso, sulla destra, si trova una zona più ampia ed aperta, nella quale è posta la vasca principale: essa ha una forma particolare, ricalcata sul simbolo della ‘Vesica Piscis’, che qui, come vedremo, ha una presenza massiccia ed una valenza tutta particolare.
Proseguendo oltre attraverso il sentiero ricavato nel fitto della ricca vegetazione, si risale verso la sorgente. L’ambiente che s’incontra subito dopo è la Corte di Re Artù, una zona recintata di forma rettangolare nel quale la sorgente forma una cascatella e si riversa in una piccola piscina rettangolare, chiamata Vasca dei Pellegrini. Questo è uno dei punti più sacri di tutto il giardino: qui, infatti, come assicurano gli esperti di geomanzia, si incrociano le due linee di energia principali: quella di "San Michele" e quella di "Santa Maria". La Vasca, oggi di profondità modesta, era un tempo molto più profonda, ed in essa i pellegrini si immergevano per intero per ottenere la guarigione dai loro mali.
Risalendo ancora il lieve clivo su cui si adagia il Giardino, si arriva alla Fontana del Leone, così detta perché l’acqua sgorga da una cannella che ha la forma della testa di questo animale. Il leone, oltre ad essere l’animale sacro di Cibele, di Lug e di altri dei o dee legati alla fertilità, è spesso accomunato alle fonti d’acqua e non è infrequente imbattersi in fontane che hanno questa forma nei giardini dei palazzi e persino nelle nostre città. È un simbolismo che ha il suo retaggio nell’antica civiltà egizia, quando le piene del Nilo, che garantivano alla popolazione un altro anno di prosperità e di raccolti, avvenivano sempre nel periodo in cui il sole entrava nella costellazione del Leone, per cui questo animale è diventato simbolo solstiziale.
Infine, nella zona più interna ed intima del giardino, si apre il Pozzo del Calice, al centro di una depressione di forma circolare ricoperta in cemento, nel quale sono incastonate come gemme conchiglie fossili dalla forma a spirale. Il pozzo è di fatto una struttura in pietra di epoca medievale, che racchiude una sorgente d’acqua. Oggi l’imboccatura del pozzo si trova al livello del suolo, ma in antichità doveva trovarsi in superficie: sono stati i crolli di terra dal "Chalice Hill" e dal Tor che hanno finito per interrarlo.
Adiacente al pozzo, ad una certa profondità, si apre una camera a forma di pentagono irregolare, la cui funzione è tuttora sconosciuta. La camera, le cui dimensioni presentano rapporti con le unità di misura degli antichi Egizi, data probabilmente al XVI o al XVII secolo, e fu presumibilmente utilizzata per delle cerimonie rituali. Oggi è, ovviamente, inaccessibile ma la sua sommità può essere ancora vista guardando all’interno del pozzo sul lato rivolto verso Chalice Hill.
Il coperchio del pozzo è forse l’immagine più nota associata a questo luogo, divenuta nel tempo un’icona ed un simbolo del luogo stesso, a sua volta ispirato ad un simbolo ancora più antico, quello della Vesica Piscis.
La Vesica Piscis costituisce un motivo ricorrente in tutto il giardino; la sua presenza si può definire massiccia, dato che la troviamo più o meno ovunque: nella cancellata d'ingresso, disegnato con dei sassi nel viottolo di accesso alla cassa, nella forma della vasca principale. L’associazione del Chalice Garden con questo simbolo, tuttavia, ha un’origine recente e risale al 1919, quando un famoso archeologo di Glastonbury, Frederick Bligh Bond, realizzò un coperchio per il pozzo in legno e ferro battuto, forgiato con questa immagine, e ne fece dono al Chalice Well Trust, che gestisce il sito. Bligh Bond lavorava da diversi anni come archeologo interno presso l’abbazia di Glastonbury ed era un esperto di geomanzia e di "energie della terra". Il significato e la natura duale (maschile/femminile) di questo simbolismo è ampiamente trattata in una sezione apposita di questo sito.
Nel motivo che orna il coperchio del pozzo, la Vesica Piscis è attraversata in tutta la sua lunghezza da una freccia, terminante in un cuore. Essa rappresenta metaforicamente la Sacra Lancia, che, trafiggendo il costato di Gesù, che fece scaturire sangue ed acqua, quello stesso sacco e quella stessa acqua dai poteri miracolosi curativi che scaturirono dalla sorgente di Glastonbury dopo l'immersione, in essa, del Santo Graal.
La coppa e la lancia, ovvero il Calice e la Lama, sono i due simboli fondamentali delle energie sessuali, femminile e maschile, e dell'unione sacra (le "nozze regali" tra il Re e la Regina) e, se vogliamo, la sacra unione che è alla base della Linea di Sangue divina simboleggiata dal Graal.
Non è un caso che i due simboli si trovino qui riuniti alla base del colle del Tor. Il pozzo, visto come cavità che si apre nel ventre della Madre Terra, con la sua sorgente di acque curative (fonte della vita) e, per di più, dal colore rossastro che potrebbero ricordare quello del sangue, linfa vitale, in particolare del sangue mestruale, che si genera ciclicamente in un periodo di 28 giorni come le fasi della Luna (Iside/Ishtar, la Grande Madre), può facilmente essere assimilato all'organo genitale femminile e rappresentare così il Femminino Sacro. Parallelamente, a breve distanza, si innalza il Tor, il colle magico situato sulla Linea di San Michele, dove covano le energie del drago in attesa di essere domato dall'arcangelo guerriero, e dove svetta solitaria una torre innalzandosi verso il cielo, non è altro che la rappresentazione simbolica dell'organo genitale maschile. È questa duplice presenza, dunque, che rende Glastonbury così speciale e fa di essa luogo designato per le pratiche magiche e le attività di carattere spirituale di ogni tipo.
Nella parte più ampia del giardino, dove si trova la vasca principale, nello spiazzo tra questa e la Corte di Re Artù, si trovano due maestosi alberi di tasso. Quest’albero, che oggi è presente soprattutto nei cimiteri, aveva carattere sacrale per gli antichi Celti, in particolare per i Druidi, che li piantavano nei luoghi dove svolgevano solitamente le loro cerimonie come silenti sentinelle e guardiani dei loro luoghi sacri. Questi alberi una volta dovevano far parte di un boschetto sacro oppure di un viale cerimoniale.
Esisteva anche un altro viale di questo tipo, delineato da un altro albero sacro, la quercia, che conduceva al Tor. Oggi, nella località di Stonedown, a nord-est del Tor, sopravvivono ancora due vecchie querce, che sono state chiamate Gog e Magog, che si ritiene essere le ultime due sopravvissute di questo antico viale.
Nel folto degli alberi e delle siepi del Giardino del Calice non poteva mancare, infine, la Santa Spina, l’albero generatosi miracolosamente dal bastone di Giuseppe di Arimatea. Nel Giardino del Calice si trovavano tre diversi alberi di Santa Spina. Uno, il più grande, si trovava tra i due tassi e la vasca principale; nella nostra ultima visita (Luglio 2012) esso non era più al suo posto. Gli altri due, più piccoli, si trovano uno vicino al pozzo e l’altro subito al di sopra della Testa del Leone.
Fonte
http://www.angolohermes.com/spec
iali/inghilterra/glastonbury/chalice.html

lunedì 26 novembre 2018

Il Vischio


Il Vischio
Usanze e Tradizioni di una Pianta 
ritenuta Magica e Sacra per i Celti,
e in generale per le Culture Nordiche 

L'Usanza della Raccolta del Vischio è una tradizione che ha origine presso le Popolazioni Celtiche. I Celti infatti, consideravano la suddetta pianta Magica (perché pur senza radici riusciva a vivere e a crescere) e proprio per questo la ritenevano un prezioso dono da parte degli Dei e quindi oltre che Magica, anche Sacra e proprio in merito a ciò, l'immaginario collettivo celtico era convinto che il Vischio, in quanto dono degli dei nascesse laddove veniva scagliata una Folgore: Simbolo Della Discesa Divina e quindi di Immortalità  Rigenerazione. e Fertilità.
Le sue bacche bianche infatti erano ritenute piccoli contenitori di sperma divino, e per questo simboli di fecondità sessuale.
(da tale credenza deriva l'usanza di baciarsi sotto il vischio la sera di Natale e a capodanno per augurare e propiziarsi fertilità ed unione.  )

Le consuetudini sull'uso del Vischio come elemento apportatore di buona sorte quindi derivano da antiche tradizioni celtiche, dai costumi di una cultura, di una popolazione che considerava dunque questa pianta come Magica nonché Sacra, e in quanto tale, a raccoglierlo poteva essere solo ed esclusivamente il Sommo Sacerdote, con l'aiuto di un falcetto d'oro. Gli altri sacerdoti, coperti da candide vesti, lo deponevano (dopo averlo recuperato al volo su una pezza di lino immacolato) in una catinella ( d'oro) riempita d'acqua e lo mostravano al popolo per la venerazione di rito.


In quanto sacro il Vischio (simbolo della vita che trionfa sul tepore invernale) veniva dunque associato al divino, colui che guarisce, e per tanto con proprietà di guarigione e fertilità. Un Rito, quello della Guarigione che consisteva nel distribuire l'acqua che lo aveva bagnato ai malati o a chi, comunque, voleva preservarsi da eventuali malattie future e o sortilegi.
La credenza si basava sul fatto che, la pianta cadesse dal cielo insieme ai lampi (il lampo simboleggiava come prima accennato la folgore divina) Questa congettura. Scrive il Francese Phlipe Auguste scrittore e poeta Francese (vissuto tra 1809 e il 1877) nella sua opera RAMO D’ORO è confermata dal nome Scopa del Fulmine che si dà al Vischio, nel Cantone svizzero di Argau, "Perché questo epiteto - continua il Frazer - implica chiaramente la stessa connessione tra la pianta e il fulmine; in pratica si pensava che il Vischio fosse un prodotto stesso del fulmine , e che tagliandolo quindi, durante mistici riti ci si poteva appropriare di tutte le proprietà magiche di quel fulmine che lo aveva generato

Anche Plinio Il Vecchio scrive dell’importanza del vischio per i celti, e del simbolismo rituale druido della cerimonia durante la quale la sacra pianta veniva raccolta.

IL TAGLIO DEL VISCHIO

La cerimonia del taglio del vischio è descritta da Plinio il Vecchio nel 1° secolo AC come una cerimonia religiosa gallica dove dei druidi con vesti bianche salivano su delle querce a loro sacre, e tagliavano il vischio appunto facendolo cadere poi su di un drappo di stoffa immacolato, dopo di che' venivano sacrificati due tori bianchi.

In merito a ciò ritroviamo Philippe Augustae Jeanron, scrittore e pittore francese (1809-1877) in quanto anch'egli parla della cerimonia Druida della raccolta del Vischio
così scrisse:
"I druidi - questo è il nome con cui i celti chiamano i loro maghi, non hanno nulla di più sacro del vischio e dell'albero su cui esso cresce, purché sia la quercia di Valonia .... Il vischio è raro e quando viene trovato è raccolto con una grande cerimonia, e in particolare il sesto giorno della luna. Essi
preparano un sacrificio rituale e un banchetto sotto un albero e portano due tori bianchi, le cui corna vengono legate per la prima volta in questa occasione. Un sacerdote adorno in paramenti bianchi si arrampica sull'albero e, con una falce d'oro, abbatte il vischio, che viene raccolto in un manto bianco. Poi alla fine uccidono i tori, pregando un dio per propiziare l’intento magico della pianta. Credono che il vischio sotto forma di bevanda darà fertilità a qualsiasi animale sterile e che sia un antidoto contro tutti i veleni “

Andiamo ora ad analizzare il simbolismo di questo rituale:

La Quercia

Conosciamo bene l’importanza e la sacralità che la quercia aveva per i Druidi e per tutte le popolazioni galliche, ma oltre a rappresentare una sorta di portale per i mondi ultraterreni, pare che la stessa origine del nome "Druida" abbia una desinenza con Derwid che significa appunto Quercia o "Albero Sacro al Cielo.
“Il sesto giorno della luna” - dovrebbe indicare il sesto giorno dopo il plenilunio e nello studio della numerologia il numero sei è equiparato al successo, l’armonia, l’equilibrio e la ricompensa.
Il sei come il quattro presenta una piacevole solidità e radicamento che ci ancòra al mondo materiale e reale.

Due Tori Bianchi

il bianco è tradizionalmente il colore dell’altro mondo ed in questo caso gli animali sacralizzati dal proprio mondo animale fungono da messaggeri e collegamento tra il mondo convenzionale e quello non. I tori sono creature solari e con la loro forza, la loro resistenza, e il loro vigore condividono le proprietà del Sole come forza divina maschile.
Il fatto che i due tori siano sacrificati in prossimità del Solstizio invernale potrebbe indicare una serie di possibilità: che siano messaggeri per il Sole ancora debole, ma che lentamente riprende a nascere dopo essersi ritirato nell'oscurità della morte, o che il loro sangue, vada a nutrire la Terra.

Falcetto d’Oro

L’oro era considerato simbolo solare e la falce invece simbolo lunare, ergo, combinati insieme rappresentavano così i principi maschili solari e femminili lunari.

Vischio

Le antiche popolazioni nordiche, celti e vichinghi nel periodo precristiano, consideravano il vischio una pianta incredibilmente potente perché nasceva da ciò che pensavano legno morto, in quanto credevano che gli alberi morissero nel periodo invernale per poi rinascere magicamente a primavera, eppure il vischio non moriva mai, da cui la convinzione che fosse una pianta magica mandata in terra direttamente dagli dei in segno di dono
Il Vischio era inoltre considerato femminile, la quercia maschile e la loro unione quindi trasmetteva un messaggio di fertilità e rinnovamento nato da un’associazione di solidità e forza, in special modo al Solstizio Invernale; forse è anche per questo che è nata l'usanza di baciarsi sotto al rametto di vischio, per augurare e propiziarsi fertilità ed unione.


Sir James Frazer nel suo famoso lavoro sullo studio delle religioni “Il Ramo d’oro” (prima citato) scrisse sul vischio che vi era un’antica credenza, cioè che lo spirito dell’albero risiedesse nel vischio mentre l’albero trascorreva la morte invernale e non risiedendo né in terra né in cielo, non poteva essere danneggiato da nessuno dei due reami: per questo lo spirito dell’albero era al riparo dalla morte e poteva tornare all’albero in primavera.

Simbolicamente il vischio è la rappresentazione di una vita illuminata, non è né arbusto né albero ed è sospeso nell’aria. Esso è un potente simbolo di libertà, è senza limiti nella sua capacità di crescita, in effetti sceglie il re delle foreste, la Quercia, come sua più sacra dimora e questo intensifica ancor di più le due piante dei regni arborei per la saggezza druidica, pur sapendo che molti altri alberi lo ospitano, come il melo, il nocciolo, il noce e diverse tipologie di pini: tutte piante che portano con se il potere della conoscenza, della saggezza, della morte e rinascita e della luce

Le leggende che considerano il vischio strettamente connesso al cielo e alla guarigione di tutti i mali si ritrovano anche in altre civiltà del mondo come ad esempio presso gli Ainu giapponesi o presso i Valo, una popolazione africana.

Inoltre queste usanze, druidiche continuarono (specie in Francia) anche dopo la cristianizzazione. La natura del vischio, la sua nascita dal cielo e il suo legame con i solstizi non potevano infatti non ispirare ai cristiani il simbolo del Cristo, luce del mondo, nato in modo misterioso. "Come il vischio è ospite di un albero, così il Cristo - scrive Alfredo Catabiani nel suo "Florario" - è ospite dell'umanità, un albero che non lo generò nello stesso modo con cui genera gli uomini".

IL VISCHIO NELLA VISIONE MODERNA

Ancora oggi, baciarsi sotto il vischio è un gesto propiziatorio di fortuna e la prima persona a entrare in casa dopo Yule deve portare con sé un ramo di vischio. Queste usanze solstiziali sono state oggi trasferite al 1° Gennaio.

Un rametto di vischio in casa, per l’ultimo giorno dell’anno, non può mai mancare. Meglio se lo si posiziona in alto in modo che, allo scoccare della mezzanotte, si possa baciare la persona amata proprio sotto il vischio. Ma da dove deriva questa usanza?
Spesso ci sono molte leggende per spiegare una sola credenza. Anche in questo caso, almeno due sono le leggende legate al vischio: la prima spiega come sia nata questa pianta che da sempre è considerata tradizionale del periodo natalizio; la seconda, rivela il motivo per cui porta fortuna baciarsi sotto un rametto di vischio.

All’origine di questa pianta è legata una leggenda … una delle tante, in verità.

C’era una volta un vecchio mercante che viveva da solo in un paese sperduto tra i monti. Non aveva né famiglia né amici, viveva esclusivamente per accumulare denaro e ricchezze. Gli affari erano l’unica cosa cui teneva ed era talmente avaro da perdere il sonno nel timore di essere derubato. Di notte spesso si alzava e andava a contare il denaro che teneva nascosto in una cassapanca.
Per quest’uomo contava solo il guadagno e non si faceva scrupolo di agire in modo disonesto, approfittandosi dell’ingenuità delle persone.
Non voleva conoscere quelli con i quali faceva affari, non si interessava delle loro storie e dei loro problemi, per questo nessuno gli voleva bene.
Una notte di dicembre, quando ormai Natale era vicino, il vecchio mercante, non riuscendo a dormire, decise di uscire a fare una passeggiata.
Nelle strade sentì un allegro vociare, risate, urla gioiose di bambini e canti.
La cosa non era affatto usuale nel suo paese e ancor di più si incuriosì non avendo ancora incontrato nessuno, nonostante voci e rumori sembrassero molto vicini.
A un certo punto udì qualcuno che pronunciava il suo nome, chiedeva aiuto e lo chiamava fratello. Ma quell’uomo non aveva fratelli o sorelle e si stupì.
Per tutta la notte ascoltò le voci che raccontavano storie tristi e allegre, vicende familiari e d’amore. Venne a sapere che alcuni vicini erano molto poveri e che sfamavano a fatica i figli, che altre persone soffrivano la solitudine oppure che non avevano mai dimenticato un amore di gioventù.
Pentito per non aver mai capito che cosa si nascondesse dietro alle persone che vedeva tutti i giorni, l’uomo cominciò a piangere.
Pianse così tanto che le sue lacrime si sparsero sul cespuglio al quale si era appoggiato.
Al mattino le lacrime non sparirono ma continuarono a splendere come perle.
Era nato il vischio.

Molto più romantica, anche se dolorosa allo stesso tempo, è la leggenda che ha dato origine alla credenza che porti bene baciarsi sotto il vischio.

Essa fa parte della mitologia nordica. I druidi celti onoravano il vischio come pianta sacra, ritenendo che avesse origine celeste e che crescesse nei luoghi colpiti dai fulmini. Un altro motivo per cui la pianta è circondata da una specie di alone mistico rimanda al numero 3, considerato sacro in molte culture (ad esempio, per i Cristiani è legato alla SS. Trinità); infatti, le bacche del vischio si sviluppano in 9 mesi e si raggruppano a tre a tre.

Il vischio è anche la pianta sacra di Frigg (o Freya), dea dell’amore presso gli dei Asi.

Frigg aveva due figli, Balder, buono e generoso, e Loki, cattivo e invidioso, che voleva uccidere il fratello (come si fa a non pensare ai “nostri” Caino e Abele?). Venuta a conoscenza del piano malvagio del figlio, Frigg chiese a tutte le creature animali e vegetali di proteggere Balder, ma si dimenticò di rivolgere la preghiera proprio alla pianta del vischio. Loki ne approfittò per portare a termine il suo piano, utilizzando proprio questa pianta per fabbricare la freccia che uccise Balder.

La dea Frigg, vedendo il cadavere del figlio prediletto, iniziò a piangere disperatamente e le sua lacrime, come per magia, si trasformarono in bacche bianche. Quando queste toccarono il corpo di Balder, lui tornò in vita.
Per la grande felicità, la dea Frigg cominciò a baciare chiunque passasse sotto l’albero sul quale cresce il vischio (di solito pioppi, olmi e tigli).
Il suo bacio costituì un portafortuna e una protezione per tutti coloro che furono baciati dalla dea: ad essi infatti, non poteva capitare nulla di male





fonti
la ruota dell'anno
il vischio: antiche tradizioni e usanze celtiche

Sono le di

Le feste celtiche

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